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Meglio degli invincibili

Una squadra più democratica e al contempo più monarchica conquista con tre turni d'anticipo il secondo scudetto consecutivo

Meglio degli invincibili

Cosa c'è di meglio degli invincibili? Quelli che perdono. Più bella, convincente, gustosa e gustabile la Juve che perde quattro partite e conquista uno scudetto rispetto a quell'altra un po' ibrida, spigliata quanto un corazziere del Quirinale, nevrotica come una soubrette alle prime armi, insopportabile quanto una Premiere dame e avvelenata dal passato.
Questa è una Juve più democratica ma assolutamente più monarchica. Sembra un controsenso ma solo per chi non capisce l'evoluzione della squadra: quest'anno ha riscoperto l'asprigno del prender legnate e nemmeno contro i primi che passano: Inter, Milan, Roma e Sampdoria (e quel giorno in che modo!). Ma ogni volta che si è girata dietro di sè ha cercato avversari e non li ha trovati. Ha dominato con la reazione alle sconfitte e con l'assolutezza delle vittorie. Ha conquistato il titolo con tre giornate d'anticipo, l'anno scorso alla penultima contro il Cagliari. Si è sganciata dai veleni, ad eccezione di quel tricolore numero 31 sventolato sul campo come un certificato di garanzia. É stata da record più di quell'altra. Ha pareggiato meno e vinto di più (26 successi contro 22). Ha perso di più e ha dovuto segnare di più (67 gol contro 65), realizzare più punti (due in più), è stata meno perfetta nel cammino, ma più perfida nel farti capire che non c'era trippa per nessuno.

Ci hanno provato il Napoli e l'Inter: se l'è ingoiate. L'anno passato è stato un battagliare con il Milan. La via dello scudetto si è aggrappata ad un gol fantasma. La squadra si è aperta la strada sfruttando disgrazie altrui. Qui è stata la Juve una vera disgrazia per il campionato: lo ha reso monotono, inerme, l'ha dominato illuminata nel gioco e nel modo di gestirlo, non ha lasciato dubbi pur seminando speranze vacue, ci ha fatto capire la bellezza di un gruppo intorno ai suoi totem: allenatore cui regalare l'anima, tutti per uno e gol per tutti, saracinesche mai alzate, capacità camaleontica.

É stato effetto Conte, ma non solo. É stato il miglior Conte che il campionato poteva regalare: un allenatore che ha imparato perfino a gestire le pubbliche relazioni con l'aplomb di un vincente, e non con il disperato estremismo dialettico del passato. Per le prime 15 partite sulla panca non c'è stato lui, eppure si sono sprecate statistiche che cantavano vittorie. Il primo intoppo contro l'Inter, ma è bastato per togliersi la polvere dalle spalle e riaccendere il motore.
É stata una Juve senza cannonieri accertati, ma quasi tutti hanno segnato. Ha fatto conto pari con i gol subiti ma è stata terribilmente più solida, soprattutto migliorata nelle debolezze. Se l'anno scorso Pirlo era stato architetto e architrave, stavolta è rimasto l'architetto ma ogni tanto si è persa l'architrave. C'è stato qualche colpo a vuoto, eppure la squadra ha trovato rimedio dentro di sè, ha spiegato che Pogba potrebbe diventare un grande giocatore, lo ha fatto scoprire fin dal primo spacchettarlo come fosse un uovo con sorpresa.

Quando un club vince lo scudetto si sprecano le sviolinate: l'ammirazione prende il sopravvento sui cattivi pensieri. Quando una squadra vince, rischia di rendersi antipatica. Fa parte della legge della vita e del pallone. Bene, stavolta la Juve ha ottenuto il miracolo contrario, al di là del puro effetto tifo: è riuscita a rendere più apprezzabile l'immagine (senza spingerci alla simpatia) perché ha convinto della forza, della capacità di cambiare forma e contenuto quando incontrava difficoltà, ha variato moduli imposti dalla freschezza mentale del tecnico e assecondati dalla capacità della squadra di adeguarsi senza timori. Ha giocato con due punte, una punta, 5 centrocampisti, ha sbagliato qualche acquisto ma ha ben nascosto il difetto. É il segreto della grandi squadre: tutti funzionano anche se non sono fenomeni.

Poi, a mente fredda, qualcosa andrà rivisto. Per l'Europa è ancora corsa lunga, nessuno smetterà mai di pensare che il feeling bianconero con lo stellone è tornato a farsi solido e benedetto. Sentimenti che fanno storia come la capacità di realizzare bis-scudetto quanto nessuno in Italia: su un totale di 20 doppiette, quelle bianconere sono 7. Eppure questo campionato ci ha regalato una Juve più umana. E Lei, a sua volta, ha insegnato che non conta essere invincibili.

Meglio essere forti.

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