A loro non importa sapere quando si tornerà a vivere. A loro non importa sapere quando i bambini torneranno a scuola e quando gli artigiani e i commercianti potranno riprendere i loro negozi. Al mondo del calcio importa sapere quando si tornerà a giocare in campionato, quando sarà possibile tornare ad allenarsi. Il presidente della Federcalcio suggerisce date, utilizzando il calendario tipo Ogino Knaus (che non è un calciatore straniero). Il sindacato dei pedatori non tira fuori un euro nemmeno in caso di strage. Tra i calciatori alcuni se la sono svignata all'estero, tipo Higuain, temendo il peggio.
L'Italia vive lo strazio, il football sfoglia la margherita, i presidenti litigano, secondo stile condominiale. A nessuno viene in mente, sempre che l'oggetto in questione sia in funzione costante, che si potrebbe anche sospendere definitivamente la serie A e la serie B, perché questo non è soltanto un virus ma è la guerra, perché le immagini tragiche dei camion militari che portano via da Bergamo le bare sono l'ombra che deve seguirci a lungo, per insegnarci che la vita è una cosa seria e non si combatte cantando sui balconi o praticando lo jogging, come idioti (o forse pusher e tossici che non possono frequentare i parchi, blindati). Annullare il campionato, senza vincitori e vinti, senza assegnazione dello scudetto, ricominciando da zero a settembre, sempre che l'autunno non abbia ancora i veleni di queste stagioni che non hanno senso. Ma a una condizione: che anche l'Uefa si adegui, che metta gli attributi (ehm) sul tavolo, che cancelli le coppe, che abbia il coraggio e la coscienza di comprendere il momento di strazio in ogni dove.
Come si può pensare di tornare in campo a Bergamo o a Brescia, a Madrid o a Valencia, a Londra o a Manchester, a Parigi e a Francoforte, mentre le ambulanze corrono, quelle sì e non per sport, mentre medici e infermieri non stanno a bordo campo ma in sala operatoria? Fermarsi, dunque, pensare. E rinviare i giochi, tutti, quando la vita sarà, di nuovo, vera.
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