Quella triste pedalata del "grande bugiardo"

Alla presentazione del docufilm su Jan Ullrich, Lance lancia la sua accusa: "Una generazione di m..."

Quella triste pedalata del "grande bugiardo"
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Sono due facce della stessa medaglia, solo che una è di bronzo. C'è quella per anni tormentata di Jan Ullrich e quella sfacciata di Lance Armstrong. Quella di Ullrich che non ha mai accusato nessuno e quella del texano di «Livestrong», che non l'ha mai raccontata giusta e oggi cancella con un colpo di spugna tutto il ciclismo degli Anni Novanta.

Ullrich non ha mai fatto né il santo né tantomeno la vittima, si è solo lasciato andare ai fumi dell'alcol e nelle volute di un fumo tossico e psicotropo. Armstrong dopo averla fatta franca da corridore è stato costretto da un'inchiesta giornalistica (David Walsh, ndr) e dalla magistratura ordinaria americana ad ammettere le proprie malefatte (per anni protetto da Uci e dal Tour, nessuno come lui ndr).

C'era anche mamma Tonina Pantani dieci giorni fa a Monaco di Baviera, al cinema-teatro di Piazza Sendliger Tor. L'occasione è stata l'anteprima del documentario di Amazon Prime Video «Der Gejagte» («La Preda») dedicato al Kaiser di Rostock, che l'altro ieri ha compiuto 50 anni. Quattro episodi di 45 minuti ciascuno, per il momento saranno in programmazione solo in Germania, Austria e Svizzera ma è scontato che la diffusione si allargherà.

C'era anche mamma Tonina ad ascoltare le dolorose verità di Jan Ullrich, che condanna un'intera generazione di ciclisti, compreso Marco. «Sì, mi sono dopato», dice il kaiser. «Giocavo con la morte ogni giorno», ha raccontato.

Oggi Ullrich pare un uomo pacificato. Vive sempre a Merdingen con l'attuale compagna Elisabeth. Oggi è facile anche per Armstrong, «Liestrong», il «grande bugiardo», ammettere che quel ciclismo è stato un grande inganno. «Eravamo entrambi delle icone nei nostri Paesi. Facevamo parte di questa generazione di merda», ha detto il texano.

Da anni, al termine dell'estate, i due s'incontrano a Mallorca e ricordano i bei tempi andati.

È qui che hanno rilasciato qualche giorno fa un'intervista doppia al magazine tedesco Die Zeit. «Mentre gli altri hanno potuto continuare a lavorare, Jan e io, compreso Marco Pantani, siamo stati trattati diversamente». Marco e Jan sicuramente. Lui no.

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