Wenger lascia l'Arsenal senza trofei europei

La sconfitta con l'Atletico di Simeone condanna i Gunners all'eliminazione dall'Europa League. L'addio agrodolce del tecnico dopo 22 anni di gioie e dolori

Wenger lascia l'Arsenal senza trofei europei

Arsène Wenger chiuderà il suo Ventennio all’Arsenal senza nemmeno la consolazione del trofeo internazionale. Troppa la rabbia dell’Atletico Madrid del Cholo Simeone, troppa la voglia di rivalsa di Diego Costa, che con il calcio inglese ha pure qualche conto da regolare. I Gunners, sconfitti 1-0 in Spagna, cedono ai Colchoneros madrileni il diritto di disputarsi la finale di Europa League contro l’Olimpique di Marsiglia, allenato da una vecchia conoscenza romanista, Rudi Garcia.

Poteva essere, per Wenger, l’ultima chance per far pace con i tifosi che ormai da tempo non ne potevano più di lui. Altro che celebrazioni, che pur meriterebbe l’ultimo dei decani della panchina inglese. I tifosi dell’Arsenal, gente abituata a ogni sorta di dolore (almeno così ci ha insegnato Nick Hornby in Febbre a 90) era davvero stufa del francese. Poco più di un anno fa, nell’aprile scorso, i tifosi scesero addirittura in piazza per chiedere alla dirigenza del club di non rinnovare il contratto con il tecnico che, da quattordici anni ormai, non riusciva più a donare all’Arsenal la vittoria della Premier. Un centinaio in corteo, scortati dagli immancabili poliziotti a cavallo, chiesero la testa del mister. Giusto dodici mesi dopo quella manifestazione, l'annuncio ufficiale dell'addio.

Gli slogan agrodolci, come da non scontata prassi, li scandivano i cori e gli striscioni, persino gli hashtag che rimbalzavano ovunque dalla rete. “Arsène, grazie dei ricordi ma è tempo di dirsi addio”. E ancora: “Ogni storia, prima o poi ha una fine. Au revoir, Arsène”. Pure c’era chi parlava apertamente di mettere fine al “regime” (pallonaro, of course!) del francese: “This is North London, not North Korea”.

Eppure, il sogno di un addio dorato, alzando la coppa continentale di “scorta” tramonta per Arsène Wenger che non riuscirà, così, a eguagliare il decano per eccellenza del calcio britannico, sir Alex Ferguson. Lo scozzese, ritiratosi nel 2013, regalò ai tifosi del Manchester United l’ultima gioia di vincere la Premier. Al francese, invece, sarà negata anche quella dell’Europa League che sarebbe stato il primo trofeo europeo in ventidue anni al timone dei Gunners.

Tuttavia, quello di Wenger è nome che rimarrà marchiato a fuoco nella storia del club. Tre volte campione d’Inghilterra, sette volte detentore della prestigiosa e suggestiva Fa Cup, sette vittorie nel Charity Shield. Scopritore e valorizzatore di talenti cristallini (leggi Viera, per esempio), rianimatore di campionissimi nel momento più delicato della loro carriera, quando rischiavano di sparire (da bidoni) dal calcio che conta. Due nomi su tutti, l’olandese Dennis Bergkamp e il francese Thierry Henry: il primo stritolato dalle aspettative della Milano nerazzurra e dai dissidi nello spogliatoio, il secondo “trasformato” terzino alla Juventus.

Costruì, tra la fine degli anni ’90 e il primo decennio del Duemila, l’Arsenal più bello, quello degli Invincibili, capace di giocare 49 partite consecutive senza perdere mai. Uno squadrone, che finalmente zittì i rivali storici, così affezionati al vecchio coretto del “boring, boring Arsenal”, a pungere una squadra dal gioco (storicamente) noioso, prevedibile e poco esaltante.

Con l’addio, ora Wenger esce dal campo.

Occorrerà un po’ di tempo e il suo nome, che ora è venuto a noia ai tifosi, tornerà a far commuovere i cuori di quelli che frequentavano l’Highbury e che da qualche anno affollano i sessantamila posti a sedere dell’Emirates Stadium.

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