la stanza di Mario CerviNei giornali ci sono ommini, ominicchi e quaquaraquà

In questi giorni si è stato ricordato che l'unico giornalista finito in carcere è stato Giovannino Guareschi. Vuole ricordarci perché fu condannato? Era forse socialmente pericoloso come il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, al quale do tutta la mia solidarietà?
Soranzen (Belluno)

Caro De Carli, ho assistito, come cronista giudiziario del Corriere della Sera, al processo De Gasperi-Guareschi dell'aprile 1954. Azzardo una sintesi estrema, anche perché di quella vicenda mi sono già occupato in questa «Stanza». Sul settimanale Candido Guareschi aveva pubblicato nel dopoguerra una lettera a firma De Gasperi intestata alla segreteria di Stato vaticana, datata 12 gennaio 1944 (dunque durante l'occupazione nazista della capitale) e indirizzata al tenente colonnello inglese Bonham Carter nella quale, in buona sostanza, si chiedeva agli alleati di bombardare Roma. L'anziano statista malato - sarebbe morto qualche mese dopo - querelò il popolarissimo scrittore. Uno scontro doloroso tra due galantuomini. Ho la convinzione che la lettera, come un'infinità d'altri pseudo documenti, fosse falsa. A Guareschi venne inflitta la condanna un anno di reclusione, che si sommava a un'altra condanna per avere vilipeso Luigi Einaudi con una vignetta sul suo Nebiolo.

Con il ricorso in appello Guareschi avrebbe evitato la galera. Non volle firmarlo, e andò in cella. Per orgoglio, e se volete per caparbietà. Una caparbietà che si addice - cito da Sciascia - agli «ommini», non ai «mezzi ommini» o agli «ominicchi» o ai «quaquaraquà».

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