da Spoleto
Facile dire che a vederlo così, sotto l'ombrellone, in pantaloni di lino bianco e panama color crema, pare quasi un padrino in vacanza. Potenza della suggestione. Anche se al Festival di Spoleto in veste di musicista, Andy Garcia resta sempre Andy Garcia: ovvero una star hollywoodiana che, anche alle prese con la sua seconda passione (la vecchia musica cubana, eseguita qui in due concerti come leader di nove musicisti, alle percussioni, al piano e al canto nel danzon, nel mambo, nella rumba) non dimentica mai le proprie origini. E soprattutto i motivi che ispirano il suo mestiere.
Si dice che Andy Garcia si senta più musicista che attore. È vero?
«È vero. Con la musica sono più libero di esprimermi. Mentre quando recito sono costretto da una sceneggiatura, legato ad un copione con delle battute».
Come ha scoperto in sé questa seconda e liberatoria vocazione?
«Quando girai con Coppola il Padrino parte III, per interpretare un personaggio che suonava il piano presi delle lezioni. Mi piacque talmente che non smisi più. Infine, quando debuttai nella regìa con un documentario sull'inventore del mambo, Israel Lopez Cachao, misi su un gruppo. È lo stesso con cui suono ancora oggi: la CineSon All Star Band. Ci esibiamo nei localini e nei club di Los Angeles. Ma non si tratta di un lavoro. Lavori quando guadagni dei soldi; mentre io suono sempre e solo per passione».
Secondo Woody Allen il pubblico accorre per ascoltarlo fare jazz solo perché si chiama Woody Allen. Questo vale anche per chi si chiama Andy Garcia?
«Naturalmente. Ma è una realtà che non mi dispiace affatto. Perché assieme a me si esibiscono alcuni fra i migliori musicisti al mondo in questo genere. Mentre ho fatto film che non sono piaciuti a tutti, non ho mai fatto un concerto che non fosse piaciuto a tutti».
Lei esegue musica cubana anni 50, e al festival ripropone il suo unico film da regista, Lost City, che narra lutti e tragedie provocati a Cuba dal regime di Fidel Castro. Fra le due cose c'è un legame?
«Certo. La musica che eseguiamo esprime profonda nostalgia per la Cuba che non c'è più, quella che Castro ha distrutto. E in Lost City, dove racconto la ribellione politica e la separazione delle famiglie provocati da Castro, a parte Bill Murray e Dustin Hoffman eravamo tutti esiliati o figli di esiliati».
In Lost City ridimensiona anche un altro mito rosso, quello di Ernesto «Che» Guevara, raccontato come autore del delitto di due oppositori politici.
«Sono fatti realmente accaduti. Molti lo sanno; ma quasi tutti fingono d'ignorare che il Che ha compiuto degli assassini a Cuba».
E il cinema?
«Non lo dimentico. Ho appena interpretato L'aria che respiro, accanto a Forrest Whitaker e Kevin Bacon, e spero di firmare presto la mia seconda regia, con una storia sui valori in cui credo di più, quelli della famiglia».
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