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La storia della Juve riparte dalla B per incontrarsi e forse dirsi addio

Gioca a Rimini dove andava solo per le amichevoli. In tribuna 240 giornalisti. E Ricchiuti aspetta una maglia da Del Piero

Tony Damascelli

nostro inviato a Rimini

Pochi sanno dove saranno oggi, intorno alle quattro del pomeriggio, Antonio Giraudo e Luciano Moggi. Tutti sanno dove sarà la Juventus. Lo sanno Capello e Ibrahimovic, Vieira e Cannavaro, Emerson e Zambrotta, quelli che se la sono filata al momento opportuno, una scelta di vita, di carriera e di bilancio. La Juventus è a Rimini e la città sta vivendo una follia supplementare dopo i bagordi estivi. Nemmeno Fellini, nemmeno le radiocronache di Sergio Zavoli ai tempi che furono, nemmeno Pantani, avevano creato le code notturne e l’ansia di queste ultime ore prima della prima.
Per esempio Emiliano Milone, trent’anni, da Arcola, Spezia, deve aver sognato il profilo di Del Piero che oggi gli toccherà seguire in campo. Per esempio l’argentino Ricchiuti non vede l’ora di incontrare lo stesso Alex per chiedergli la maglia. La Juventus scopre la B e la B scopre la Juventus. Chi dice, scrive e pensa che il pallone viva la crisi più profonda di sempre dovrebbe venire a fare un giro in riviera per capire che le cose stanno diversamente. Dopo lo tsunami il football è vivo, dopo gli scandali la gente ha comunque voglia di andare allo stadio e non c’entra la vittoria azzurra al mondiale. Non c’entrano le sconfitte degli stessi azzurri post mondiali. C’entra invece il fatto che la Juventus raggruma comunque amori e gelosie. Qui veniva a fare feste amichevoli, nei tornei estivi, qui ventisette anni orsono, ad esempio, Michel Platini con il suo Saint Etienne giocò contro l’Inter per consolidare un contratto che aveva lui stesso sottoscritto con il club di Fraizzoli, prima che le frontiere calcistiche venissero chiuse.
Giorni lontanissimi che fanno schiumare rabbia e accentuano la malinconia nel popolo bianconero, quello fedele nei secoli. Ieri un gruppetto di giornalisti francesi (oggi in tribuna stampa e in campo, tra cronisti e fotografi saremo duecentoquaranta, una ventina dall’estero!), ha stuzzicato Deschamps, ricordandogli il processo per doping, di cui lui fu comunque teste e chiedendogli perché mai Riccardo Agricola continui ad essere il medico sociale juventino. Deschamps, da ex centrocampista tosto, ha replicato: «C’è ancora un terzo grado di giustizia, Agricola è stato assolto, dunque è qui con noi. Per il resto c’è un verbale che mi riguarda. Non aggiungo altro». E ha respinto al mittente anche la provocazione sulla sua scelta professionale: «Non mi convinceva il progetto del Marsiglia, della nazionale nulla so. Mi è piaciuta la proposta della Juventus. So che ci aspetteranno dovunque per batterci, so che tutti sanno tutto di noi mentre noi sappiamo meno di tutti».
Verissimo. Faccia un passo avanti chi sa, bene, di Acori o di Barusso, di Cascione o di Valiani. Sarà così, fatte rare eccezioni, da oggi in poi, mentre la gente si domanda che accadrà, non soltanto a Rimini. Che accadrà quando la Juventus perderà, quando la Juventus dovrà decidere il proprio futuro che non è quello di uno stadio ultramoderno, come annunciato da Blanc, nemmeno di un club ripulito, come urlato dagli avvocati. La gente vorrebbe sapere quale sarà la squadra del futuro, perché la realtà è crudele, in pochi si sono accorti che una certa Juventus, quella dell’Avvocato e non degli avvocati, quella del Dottore e non dei dottori, insomma degli Agnelli, la Juventus di Boniperti, Charles e Sivori, di Platini e Boniek, di Zidane e Ibrahimovic, di Del Piero e Nedved (al limite della carriera) è finita. Rimini non è una gita. Può essere la prima trappola, il cielo si è ingrigito e oggi pomeriggio incomincia un’altra storia.

Da vivere in silenzio, aspettando.

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