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La storia della piccola Einstein giunta su una carretta del mare

La storia della piccola Einstein giunta su una carretta del mare

Il rumore sulle onde è un barrito strozzato. A bordo della nave sono più di seimila. Sono partiti di notte, ore prima dell’alba. Il porto di Durazzo alle spalle, l’Adriatico in mezzo e luci di Brindisi come speranza. Stanno fuggendo da un angolo d’Europa rimasto fermo, chiuso, nascosto per quasi mezzo secolo. La dittatura è crollata, il mondo ha cancellato i muri e in Albania c’è un paradiso dietro la televisione e tanta fame in cucina. È il marzo del 1991 e l’esodo è cominciato. È il primo sbarco sulle coste italiane. Sulla nave c’è una mamma giovane che ha appena perso il marito. Morte improvvisa, morte d’infarto. Si porta dietro i suoi libri di chimica e matematica, un amore infinito per la scienza e una bambina di un anno che non piange mai.
Eda Gjerco ora ha diciassette anni. Di quel viaggio non ricorda nulla. Solo l’amore della madre. Brindisi è stata la sua infanzia. È diventata grande a Firenze, dove ha imparato a scrutare il cosmo. Il presente è Duino, alle porte di Trieste, dove c’è un collegio internazionale. Qui si accede solo con borse di studio e una severa selezione in vari campi del sapere. Ogni nazione sceglie i migliori studenti. Le lezioni si svolgono in inglese. Eda vive di astrofisica. Qualche giorno fa è uscito Così parlano le stelle (Sperling&Kupfer), il libro che ha scritto con Margherita Hack. È il racconto delle loro chiacchierate sui quark, sulla teoria ristretta di Einstein, sulle formule matematiche di Alexander Friedmann, che mostrano l’espansione dell’universo o sui raggi cosmici scoperti da Victor Hess nel 1912.
La bimba di un anno sbarcata a Brindisi sedici anni fa corre veloce, la voce ogni tanto trema, gli occhi sono grandi e scuri, come i capelli. Le parole sono equazioni matematiche. È il suo modo di guardare l’universo. Poi traduce. Rapida. Racconta: «Questo libro è nato due estati fa. Ho passato un mese a casa di Margherita Hack. La conosco da molti anni. Le ho scritto la prima lettera quando ero ancora in prima media. Poi un giorno è arrivata a Firenze per una conferenza e ci siamo incontrate».
In prima media?
«Sì. Ho sempre subito il fascino e il mistero delle stelle, ma a undici anni un libro mi ha cambiato la mia vita».
Quale?
«Dal Big Bang ai buchi neri, breve storia del tempo di Stephen Hawking. Poi ho cominciato a occuparmi sul serio di meccanica quantica».
Universi paralleli. Esistono?
«Esiste la possibilità matematica. Quindi...».
Esistono.
«Dovrebbero».
L’astrofisica sarà il tuo lavoro?
«Sì. L’obiettivo della mia vita è conoscere».
Cioè?
«Dare una risposta alla realtà assoluta. Conoscere le leggi matematiche che regolano la natura. Arrivare a svelare il mistero dell’universo».
È possibile?
«È possibile per la scienza. Non per me. Non per l’uomo. L’uomo è limitato, ma la scienza no».
L’universo è scritto nel linguaggio della matematica?
«Sì. È una rappresentazione della realtà abbastanza attendibile».
Credi in Dio?
«Sono stata religiosa in tutta la mia infanzia. E credo che la religione sia importante come istituzione sociale, come custode dei valori e della tradizione, come punto di riferimento».
Ma credi?
«Non più».
Qual è la tua religione?
«Teoricamente cristiano-cattolica».
L’amore per la scienza viene da tua madre, vero?
«Sì. A lei devo la mia vita. È una donna eccezionale. A lei, ai suoi sacrifici, al suo spirito d’umanità, devo tutto».
C’è un pensatore che ami più di altri?
«Un fisico americano, Richard Feynman. È uno dei padri dell’elettrodinamica quantistica».
I diagrammi di Feynman, giusto?
«Sì. Ha vinto il premio Nobel nel 1965».
Vivi in un collegio un po’ speciale. Com’è?
«Un posto che offre stimoli meravigliosi. Siamo 184 allievi e veniamo da 80 Paesi diversi. Ci sono corsi standard, come un liceo di primissimo livello, e corsi di livello universitario».
Quali segui?
«Fisica, chimica, matematica e inglese a livello universitario. Italiano e un altro corso a metà tra l’antropologia e la storia dell’arte a livello standard».
Duino com’è?
«Ci sto bene».
Oltre lo studio?
«Faccio nuoto. Un tempo seguivo anche i corsi di teatro. E come tutti in collegio faccio volontariato. Io sto aiutando una ragazza disabile in matematica e fisica. Si chiama Gaia. E poi faccio conferenze. Qui, nei licei della zona».
Da quanto tempo non torni in Albania?
«Tanto. Dieci anni, credo. Non c’è stata la possibilità. Economica e pratica. Ma sono orgogliosa di essere albanese. Nel mio collegio siamo in otto».


Tutti bravi come te?
«Tutti».

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