Storia

Ricordando l'eccidio di Kindu, ali italiane spezzate in Congo

Nel novembre del 1961 tre aerei da trasporto tattico dell'Aeronautica Militare italiana non fanno ritorno in patria, un prezzo altissimo per una missione di pace da portare a termine in una terra distante.

Ricordando l'eccidio di Kindu, ali italiane spezzate in Congo

Se ci si ritiene patrioti è sempre giusto ricordare chi è morto nel rispetto della Nazione e dell'ottemperanza di impegni e oneri ch'essa ha assunto. Tale pratica in Italia è spesso sottopesata, e per questo ricordare ancora una volta l'Eccidio di Kindu in epoca di missioni all'Estero e peacekeeping è doveroso quanto necessario.

Era il novembre del 1961 quando due grossi aerei da "trasporto tattico" della nostra Aeronautica Militare, due C-119 della 46° Aerobrigata con base a Pisa, atterrarono sulla pista dell'aerodromo di Kindu, allestito ai margini della foresta equatoriale, a poca distanza dal confine con il Katanga. Il loro nominativi sono “Lyra 5” e "Lyra 33”. Assegnati al contingente delle Nazioni Unite che è prontamente intervenuto nel teatro della violenta guerra civile che minaccia la stabilità del Congo (ex dominio coloniale belga divenuto Repubblica, ndr), sono posti sotto il comando del maggiore Amedeo Parmeggiani, che pilota il Lyra 5. Il comando nel secondo "Vagone volante" made in USA è affidato al capitano Giorgio Gonelli. Entrambi hanno altri cinque avieri a bordo. Un passeggero extra è il tenente medico Paolo Remotti, imbarcato su Lyra 5.

La missione dei due grossi bimotori a doppia deriva, era quella di trasportare rifornimenti per le unità di caschi blu dell'UN provenienti dalla Malesia che compongono guarnigione a Kindu. Il compito della nostra Aeronautica, nel complesso internazionale, è una routine priva di rischio: decollare, scaricare, riprendere la via di casa. Una cosa semplice che a casa tutti possono capire: anche se le "missioni di pace" sono una novità per tutti. La 46° Aerobrigata in questo è un'antesignana.

L'eccidio

Terminate le operazioni scarico della sussistenza, entrambi gli equipaggi raggiungono la base delle Nazioni Unite per rimediare un pasto alla mensa prima di ripartire. Nessuno di loro è armato: del resto sono aviatori in missione di pace, potevano avere armi d’ordinanza a bordo, ma che senso avrebbe avuto portarle con se? L’aerodromo di Kindu è in un settore apparentemente tranquillo, distante dagli scontri, i rapporti con la popolazione locale erano ottimi ed era anche per questo che la guarnigione di caschi blu era esigua. Un destino tragico e spietato s’imporrà di sfatare queste certezze.

Mentre gli avieri stanno ancora pranzando un gruppo di miliziani congolesi che si erano ammutinati irrompe nella mensa e aggredisce brutalmente l’ufficiale medico, che rimane ucciso. Tutti gli altri vengono presi prigionieri senza un’apparente ragione; poiché non c’è alcun riscatto o contropartita da pagare. Nessuna trattativa o opera di convincimento avrà successo. Verranno tutti giustiziati tra l’11 e il 12 novembre. L’eccidio di Kindu si consuma nell’impotenza dei commilitoni che ricevono notizie frammentarie e potranno certificare la mattanza solo il 16 di novembre, quando una radio locale riporta il tragico accaduto. La notizia farà il giro del mondo. L’intera Nazione, sconvolta da un epilogo così straziante per chi era “partito per una missione di pace” con la sola dedizione di servire l’Arma azzurra e lo Stato, si stringe intorno alle famiglie di 13 aviatori uccisi in una terra distante, per mano di uomini che non potevano attribuirgli colpe o giustificare vendette. Esiste solo la sfortuna di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Solo in seguito si scoprirà che in quel settore si erano registrate già diverse tensioni nelle settimane precedenti, e che tra i ribelli si mormorava riguardo l’arrivo di altri mercenari occidentali da impiegare nel complesso teatro della crisi congolese. I corpi delle vittime, crivellati dai colpi di mitra, vengono gettati in una fossa comune e identificati solo quattro mesi dopo grazie all'informazione concessa da un ufficiale della Polizia locale che ne era stato messo al corrente. Come riporta il ministero della Difesa, le salme verranno recuperato e tumulate "presso il Sacrario dei caduti di Kindu, il tempio aeronautico costruito all’ingresso dell’aeroporto militare di Pisa grazie a una sottoscrizione pubblica lanciata all’indomani della notizia dell’eccidio. A ricordo del sacrificio dei due equipaggi viene anche eretta la stele che oggi sorge all’ingresso dell’aeroporto intercontinentale Leonardo Da Vinci di Fiumicino". Purtroppo non saranno i caduti nell'eccidio le ultime vittime italiane in quella missione che andava comunque portata a termine. Appena ventiquattro ore dalla scoperta dei tragici eventi, un altro C-119 che aveva tentato un atterraggio d'emergenza mentre era ai comandi il Capitano pilota Elio Nisi - il "Lyra 10" - non troverà fortuna sperata: vi troverà la morte lui, insieme ad altri tre avieri dell'AM.

Il tributo pagato dall'Aeronautica Militare durante la missione di Pace in Congo - che la vedrà effettuare in tutto "2.177 sortite per un totale di 9.165 ore di volo, necessarie per trasportare 8.100 passeggeri e circa 4.700 tonnellate di materiale" - sarà altissimo: 21 uomini. Ai martiri di Kindu nel 1994 verrà tributata la Medaglia d’Oro al Valor Militare, insignita alla memoria.

Lo scorso novembre nella ricorrenza dei 60 anni, un post molto toccante della figlia del capitano Nisi condiviso sui social - che spesso ricordano più delle istituzioni e dei giornali - ricordava non solo i caduti e lo strano effetto che poteva avere la missione all'estero e la vista di un grande aereo da parte di una bambina di due anni che aveva un padre di soli 29 anni in missione sul lago Tanganica, che chissà dov'era; ma la poesia di un pilota, che scribacchiando sui suoi taccuini, aveva segnato: "Un colpo, due colpi, il motore si ferma | Una angoscia, un pensiero | mia figlia | Mi arrovello e cerco di infondere un po' di calma alla gente che aspetta una parola di conforto | di sicurezza | che attende da me la certezza | di avere salva la vita". Le parole di chi sapeva bene quale era il compito in aria come in terra. Di un comandante dell'Aeronautica. Questi sono gli uomini che hanno fatto l'Italia e hanno portato l'onore d'essere italiani nel mondo.

Diffidate dai luoghi comuni e delle imitazioni.

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