Agatha Christie sceglieva sempre alberghi di quart'ordine per scrivere i suoi gialli, così a causa dei rumori, dei topi e tutto il resto era costretta a finirli in pochi giorni. Per il resto, si sposò e trascorse gran parte della vita dove era nata, a Torquay, nel Devon, cittadina di mare che pretende di essere la perla della English Riviera. A poca distanza, nel 1938, acquistò Greenway House, immersa in un parco, dove passò tutte le estati e le feste invernali fino alla morte.
Emily Dickinson visse sempre nella casa dove era nata, ad Amherst, nella contea di Hampshire, Massachusetts. Nel 1885, dopo un breve viaggio a Washington, si chiuse nella propria camera al piano superiore della casa paterna e non uscì di lì neanche il giorno della morte dei genitori. Ma era una poetessa, per di più malata. Immanuel Kant non mise quasi piede fuori da Königsberg. Era un filosofo.
L'austriaco Thomas Bernhard non sopportava le vacanze, forse per il terribile ricordo di quelle passate in montagna da piccolo coi genitori, rievocate in molti libri. Ovunque andassero, mamma e papà trasformavano quel luogo in un incubo: «Cercano la quiete, ma naturalmente non la trovano, perché sono l'inquietudine, e con la loro comparsa trasformano il luogo più quieto nel più inquieto». Hermann Hesse andava a fare le cure termali a Baden, vicino a Zurigo. Però la vera vacanza la passava nel giardino di casa sua a Montagnola, sopra Lugano. Rilke, anche a Capri o a Duino, sembrava Cristo in croce. Da parte sua T. S. Eliot amava il mare, ma andava in Galles, ad Aberystwyth: un posto tristissimo.
Carlo Emilio Gadda, almeno fino a una certa età, le vacanze le faceva, ma mugugnava tutto il tempo: basta sfogliare le lettere che mandava a Citati. Poi, misogino e misantropo, cominciò ad accampare pretesti per non andare da nessuna parte. Anche Luciano Bianciardi, nel suo Viaggio in Barberia , continua a lamentarsi: «Si vede solo quello che già si conosce»... «Che ci siamo venuti a fare?»... Piero Chiara, invece, andava regolarmente in ferie (in luglio al mare e in agosto in montagna), ma passava la maggior parte della giornata a scrivere racconti, usando i fogli intestati degli hotel, perché partiva sempre senza il blocco di carta. L'unica cosa che si portava appresso era la Parker. E Giovanni Raboni non ha scritto più volte sulla bellezza di stare a Milano d'agosto?
Questo per dire il complicato rapporto tra gli scrittori e la villeggiatura. Del resto la questione non è facile. Nell'800 l'idea di «vacanza», come la intendiamo oggi, di fatto non esisteva. Molti di coloro che sembrano «vacanzare», come Stevenson o Cechov andavano in località turistiche perché in realtà erano tisici o assistevano tisici, come Tolstoj. E la maggior parte dei grandi scrittori più che «fare vacanze», viaggiava. Flaubert andò in vacanza in Egitto ma per scrivere Madame Bovary . Solo da lì riusciva a vedere la Normandia.
Gli unici che non rinunciavano alle vacanze, anzi le cui vacanze sono diventate letterariamente famose, erano Colette, Hemingway, Fitzgerald, Capote, Cocteau... Tutti veri dandy, peraltro. Però non smettevano mai di lavorare.
Di fatto, scrittori e artisti hanno più spesso snobbato che amato le vacanze. Che probabilmente considerano una cosa da impiegati, o per il popolino. Evelyn Waugh, per dire, sceglieva le vacanze-viaggio più eccentriche (negli anni Trenta passò dall'Etiopia del negus Selassiè alla Guyana Britannica) per poi tornarsene a casa dicendo che all'estero si sta da schifo, ma Londra è così noiosa... E un globetrotter come Bruce Chatwin era l'antivacanza in persona.
Françoise Sagan per scrivere Bonjour Tristesse che esce nel '54 (romanzo in cui si narra la calda estate della giovane Cecilia...) rientrò a Parigi, lasciando la sua famiglia al mare. J. D. Salinger pare (ma è scontato) che odiasse le vacanze, come Raymond Chandler. Preferivano starsene a casa a scrivere. E a dirla tutta, Picasso non smise mai di dipingere neanche al mare. Mozart non si fermò mai nella composizione della sua musica. Orson Welles non hai mai smesso di preparare un nuovo film. Come scrisse qualche anno fa Tahar Ben Jelloun, I poeti non vanno in vacanza : «Un poeta non può smettere di avere uno sguardo da poeta. La poesia non è un mestiere che si esercita a orari fissi. Se no, non è più poesia. È burocrazia». Si potrebbe chiedere a gente come Cacciari, o Ceronetti, o Sgarbi cosa pensano delle vacanze. Ma l'hanno già detto tante volte, ieri.
Arrivando all'oggi - tempi strani in cui tutti gli intellettuali passano l'estate in giro per festival - si può citare Mirko Volpi che nel suo Oceano Padano si dichiara nemicissimo delle vacanze: «Noi amiamo restare». E poi c'è chi, non muovendosi, fa le vacanze più romanzesche di tutti. Il poeta Valentino Zeichen se ne sta nella sua baracca sulla Flaminia, sotto villa Strohl Fern. «Nella vita non ho messo via i punti-qualità per andare in vacanza», disse una volta. Lì, scrive versi bellissimi.
Comunque uno scrittore che va in vacanza è un ossimoro. Lo scrittore, se scrive, non può stare a riposo.
O forse, lo è sempre. A proposito. Buone vacanze.(Ah, un altro che non ha mai fatto ferie è il povero Joseph Roth che, essendo giornalista culturale, è stato sfruttato al massimo dal suo direttore, fino a morire esausto a 44 anni).
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