Marzia Fossati
Squarciando con la propria auto la notte di via Gramsci, è impossibile non notarle. Si stagliano immobili ai margini della strada, scure sagome minigonnate dal sorriso tirato con lo scotch sotto a un paio di occhi «incacchiati»: sono le squillo genovesi, le intramontabili protagoniste della Genova più trucida e underground.
Guardandole è impossibile non chiedersi cosa si provi ad essere al posto loro. E io, ad essere al posto loro, ci ho provato, seppur per meno di unora.
Erano le 5 di mattina, in piazza Cavour, a un passo dal mercato del pesce, in giro non cera anima viva, perfino le pantegane erano andate a dormire. Non faccio in tempo ad affacciarmi tra le auto in sosta che accosta una macchina, anzi una signora macchina, una enorme Mercedes grigia. Dai finestrini aperti si intravede una coppia giovane, sui 25 anni, apparentemente eleganti, ben vestiti. Al volante cè lui, faccia pulita da ragazzo-bene, mentre lei, bionda col look da inglesina, se ne sta seduta al cosiddetto posto della suocera, fissandomi con aria ebete mentre il ragazzo mi fa cenno di salire in macchina.
Ovviamente non arrivo a tanto e la scusa con cui li liquido è la prima che mi viene in mente sul momento. «Cè un equivoco, io sto solo tenendo il parcheggio al mio ragazzo che sta facendo il giro».
In un nanosecondo il ragazzo dà gas e la coppietta schizza via mentre lei ancora mi squadra dal finestrino con gli occhi di unorata bollita.
Non passano trenta secondi che accosta una Vespetta rossa, proprio così, una Vespa! Il vespista è un trentenne (suppergiù), grassottello e occhialuto, con la faccia simpatica, non formula verbo ma mi fa segno di montare su con un cenno della testa e un sorrisone a 50 denti. Al mio diniego coniugato allignobile palla precedente inaspettatamente insiste «E dai, sali! Andiamo solo a farci un giro!».
Niente da fare, su quella Vespa mi ci dovrebbero issare con la gru. Eppure il tipo insiste un bel pò prima di allontanarsi sfrecciando verso corso Saffi.
Tempo due minuti, a esagerare, un macchinone sui livelli del primo accosta silenzioso come uno squalo bianco. E luomo al volante dello squalo pare avere anche la verve: ha uno sguardo gelido, distaccato e snob, ma la voce è melliflua, finta gentile, sembra la più scontata personificazione del maniaco-tipo, è lo stereotipo in persona del lupo cattivo, azzarderei del potenziale assassino di lucciole.
Quasi troppo scontato per essere vero, incredibile, sembra lattore di un thriller nel ruolo del cattivo, lo stereotipo vivente dellorco moderno: sui 60, in giacca e cravatta, brizzolato, ha modi bruschi ma azzarda parole gentili «Se ti va mi andrebbe di regalarti 200 Euro»...
Il gioco è finito, tanti saluti, a questo punto è meglio «telare» e anche di gran carriera. Perfino i miei amici mimetizzati in una delle auto parcheggiate a due passi da me non ridono più.
Il mestiere della lucciola sarà pure il più antico, ma resta il peggiore, e soprattutto il più pericoloso.
(5-fine)
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