Catania - La strage di Mineo, ultimo atto dell'ennesima sciagura nel mondo del lavoro, si tinge beffardamente di giallo. I sei operai morti nel depuratore comunale infatti non avrebbero dovuto trovarsi in quel luogo di morte. Lo sostiene la Carfì Servizi ecologici, la ditta di Pozzallo, nel ragusano, dove lavoravano due delle sei vittime. L'azienda ha rivelato in una nota che la presenza di proprio personale, all'interno della vasca, per l'esecuzione del servizio di espurgo, «non è prevista né dalle nostre procedure aziendali, né dalle disposizioni del committente», cioè il comune di Mineo. A questa precisione, che fomenta sospetti ed equivoci su una vicenda che ha parecchi punti oscuri, se ne aggiunge un'altra, sempre da parte della ditta ragusana: il mezzo di espurgo, posizionato nella strada adiacente la vasca, viene in genere manovrato da un operatore addetto ai comandi che non può allontanarsi dallo stesso mezzo. Non solo: l'azienda ha anche sottolineato che mai aveva svolto per il comune di Mineo alcuna attività di bonifica o manutenzione di vasche o filtri.
Ma il giallo non riguarda solo i due dipendenti della ditta ragusana. Secondo il sindaco di Mineo, Giuseppe Castania, anche gli altri quattro operai comunali non dovevano stare all'interno della vasca, poiché il loro lavoro dovevano svolgerlo nel bordo della stessa, proprio per evitare di inalare il gas metano sprigionato dai fanghi. Lo stesso sindaco ha inoltre ammesso di aver saputo da altre persone nella tarda mattinata di mercoledì che per scendere nella vasca gli operai avevano comprato una scala di alluminio. La vicenda dunque, tra misteri e supposizioni, si complica. E per adesso, il giallo della tragedia di Mineo appare di difficile soluzione.
A due giorni dalla strage sul lavoro, il procuratore capo di Caltagirone, Onofrio Lo Re, ha confermato che i sei operai morti non indossavano né mascherine, né respiratori, «anche se - ha ammesso - non sappiamo se fossero necessari». La Procura ha già iscritto nel registro degli indagati per omicidio colposo plurimo sette persone, compreso il sindaco, il responsabile dell’ufficio tecnico comunale Marcello Zampino, quattro assessori (Antonino Catalano, Giuseppe Mirata, Giovanni Amato e Giuseppe Virzì) e il legale rappresentante dell’azienda impegnata nelle operazioni di manutenzione dell’impianto, Sebastiano Carfì. Un atto dovuto per accertare le responsabilità mentre intanto si cerca di capire la dinamica dell’incidente. «Quello che è accaduto - ha detto il procuratore Lo Re - lo chiariranno l’autopsia e gli esami tecnici disposti». I due operai avrebbero dovuto pompare i liquami per ripulire la vasca e portarli via con l’autocisterna mentre due impiegati comunali avrebbero dovuto controllare il regolare svolgimento delle operazioni. Ma qualcosa non ha funzionato: forse il tubo di aspirazione si è incastrato o i filtri si sono intasati. Così sono stati chiamati altri due dipendenti comunali, gli stessi che si sono procurati una scala per scendere nella vasca.
Ieri mattina, intanto, i carabinieri, su richiesta della Procura di Caltagirone, hanno acquisitone nel capannone della Carfì, una serie di documenti relativi all'assunzione dei due operai, Salvatore Smecca e Salvatore Tumino.
Il lungo viale della zona industriale di Pozzallo, che dà sull'ingresso della Carfì, ieri appariva deserto, immerso in un'atmosfera surreale. Nemmeno l'ombra di operai e impiegati.
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