La tentata svendita del colosso alimentare Sme alla Buitoni di Carlo De Benedetti da parte dell’amico Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, torna prepotentemente d’attualità. E non solo per i clamorosi sviluppi che starebbero emergendo dalle inchieste tuttora in corso a Salerno e Nocera Inferiore (dove si indaga sui risvolti penali del fallimento del titolare della Cofima, vincitrice dell’appalto Sme, fallimento voluto da un “potere occulto”) ma per un terzo procedimento incardinato nella Capitale, ormai prossimo a sentenza, che sta facendo tremare il mondo bancario e finanziario. Il prossimo 21 aprile la Corte di Appello di Roma si pronuncerà sul giudizio civile intentato dalla curatela del fallimento della Cofima spa, contro la Banca Nazionale del Lavoro, per danni provocati alla stessa Cofima di ben 500 miliardi di lire, aggiornati durante l’istruttoria del giudizio a quasi un miliardo di euro.
Il contenzioso contro la Bnl nasce nel lontano 1987, quando l’Iri di Prodi doveva cedere la Sme e la Sidalm alla Cofima spa, per aver vinto di fatto la gara bandita con decreto ministeriale. Si verificò invece che l’Iri, stando a quanto documentato dalla Cofima, con manovre oscure, non effettuò la vendita, trincerandosi dietro il contenzioso creato dall’Ingegnere che, una volta sconfitto dalla gara, provò ad acquistare dalla Cofima spa il “diritto giuridico” scaturito dalla gara stessa. Quando, però, Giovanni Fimiani, amministratore unico della Cofima, si rifiutò di vendere il pacchetto azionario dell’azienda scorporata dalle attività e dai beni, così come preteso da De Benedetti (mediante il controvalore offerto di appena 40/50 miliardi di lire) «la forza del Potere Occulto» (quello su cui indagano Nocera Inferiore e Salerno, ndr) si scatenò. Come? Stando all’ipotesi accusatoria, utilizzando vari istituti di credito che, su input politico, si sarebbero accordati per avviare una campagna finalizzata a togliere di mezzo la Cofima e farla arrivare all’insolvenza mediante il blocco della enorme fiducia di cui godeva Fimiani. Fiducia presso il sistema bancario nazionale ed internazionale, e presso i fornitori e i clienti commerciali e finanziatori delle campagne produttive di trasformazioni delle conserve alimentari, comparto industriale dove la Cofima deteneva da sola oltre il 20% del mercato nazionale. Fra i vari colossi del credito che avrebbero tramato contro il vincitore legittimo dell’appalto Sme c’è la Bnl, che si è sempre dichiarata innocente, sulla cui condotta sta per esprimersi la Corte d’appello di Roma. Dopo neanche una settimana dal rifiuto di vendere la Cofima a De Benedetti, infatti, i dirigenti della filiale salernitana, in raccordo con la sede di Roma, chiusero improvvisamente i rubinetti all’imprenditore campano. E, nonostante la Cofima avesse «un saldo attivo» sul suo conto corrente di un miliardo e cinquecento milioni di lire, senza rischi pendenti per la Bnl, non avendo mai intaccato il fido di 450 milioni di lire, provocò il primo protesto per appena 34 milioni di lire. Il giudice adesso dovrà stabilire se effettivamente l’istituto presieduto all’epoca da Nesi negò a Fimiani di accedere ai propri soldi per saldare il dovuto e se effettivamente si adoperò per allarmare il sistema bancario e commerciale, «mediante domande indagatrici sul conto della Cofima ottenendo così il risultato di far bloccare i vari fidi goduti» per un totale di 180 miliardi, da sommare al fido per la Sme di 620 miliardi. Il risultato finale, denuncia Fimiani, fu che l’intero sistema bancario, allertato dall’insolvenza (inesistente), revocò tutti i fidi. La perizia voluta dal pm di Salerno è chiara sul punto quando dice come sia «innegabile che il comportamento della Bnl causò danni irreparabili» a Fimiani e che le varie condotte «hanno avuto un ruolo fondamentale nella causazione della crisi economica del Gruppo». Il problema che si pone di striscio a Roma, investendo totalmente Nocera e Salerno, è quello di chi effettivamente ebbe giovamento dall’annientamento delle aziende Cofima attraverso fallimenti pilotati.
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