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Strauss-Kahn, dal Fmi al carcere del Bronx Dal fuoco alla cenere: il "re" è ormai alla deriva

Guardato a vista nel carcere dei "duri", solo fino a ieri era il seduttore irrefrenabile che parlava quattro lingue e frequentava i capi di Stato di tutto il mondo. Nelle foto in tribunale è l’ombra di se stesso: occhi bassi, barba lunga, niente cravatta. Non aveva previsto il colpo di scena, la sua postura è miserabile. Protagonista sì, ma in negativo. Guarda le foto

Strauss-Kahn, dal Fmi al carcere del Bronx 
Dal fuoco alla cenere: il "re" è ormai alla deriva

La flamme et la cendre, la fiamma e la cenere, è il titolo di un libro scritto, nove anni fa, da Dominique Strauss-Kahn. È la storia delle origini del socialismo ma sembra, oggi, la didascalia di un uomo alla deriva, passato da una suite dell'hotel Sofitel di New York ai dodici metri quadrati della cella nell'ala West Facility della prigione di Rikers Island. Dominique Strauss-Khan non è più uno scimpanzè in calore, un coniglio arrapato, non è più il martello che stende qualunque femmina, non ha la faccia del seduttore incallito, del godereccio compulsivo. Erano questi i suoi biglietti da visita, i segni particolari della sua esistenza, del suo fare e del suo dire. Tre mogli, quattro figli, cento voci maligne di soft landing, di atterraggi morbidi su segretarie, collaboratrici, assistenti, di mano morte e di braccia vive, fin troppo vive.

Il cinque maggio scorso è uscito, per le edizioni Du Moment, un libro di Michel Taubmann, giornalista e studioso di economia. Di colpo, è esaurito. Il titolo? «Il vero romanzo di Dominique Strauss Kahn». Un capitolo è dedicato proprio alle abitudini sessuali del direttore generale del Fondo Monetario Internazionale: «Non ha mai nascosto di essere un seduttore irrefrenabile, non ha mai smentito di essere un martello per certe donne ma è un marito amorevole e un godereccio senza freni». Le immagini da New York appartengono a un altro uomo: Dominique tiene strette le labbra su una bocca già piccola, la testa è incurvata a sinistra, lo sguardo è basso, il sopracciglio destro è inarcato, la barba è incolta, la camicia senza cravatta ha perso il colore celeste, si è fatta grigiastra come l'espressione del volto di un uomo che cerca di non capire, di non spiegare, di non sapere ma sa benissimo, benissimo capisce e tutto potrebbe spiegare. Sembra l'attore di un film che abbiamo già visto ma che deve ancora incominciare.

Non aveva previsto il colpo di scena, la sua dignità di postura è finta, quasi arrogante, dunque miserabile. Il protagonista è diventato comparsa. In un mese la fiamma si è fatta cenere, l'immagine fotografica di Dominique, il socialista, mentre sale a bordo di una sontuosa Porsche prestatagli, si fa per dire, dal suo consulente di comunicazione Ramzi Kharoun, il suo imprevedibile train de vie, due proprietà a Parigi, una in Place des Vosges, un ryad (una dimora di lusso marocchina) a Marrakech, la tesi difensiva e clamorosa di Terra Nova, una fondazione politica a lui vicina, secondo la quale il socialismo, quello di Strauss Kahn, non si rivolge agli operai e al popolo ma ai giovani, alle donne e agli anziani (!?), le conseguenti reazioni infuriate del Partito Socialista francese, le rivelazioni, a distanza di nove anni, di una giornalista, un'altra «vittima» di Strauss (era il cognome del padre naturale, Gilbert, mentre Khan è il cognome di Marius, il cugino di Gilbert che sposò Yvonne, la madre di Dominique, da cui, dunque, la doppia denominazione), la memoria di un altro caso, di sesso e potere, con una consulente ungherese del Fondo Monetario, il ruolo di Anne Sinclair, la terza moglie di Dominique, madame Sinclair ex numero uno della televisione di Francia, nipote di Micheline Nanette Rosenberg, erede di una delle più grandi collezioni di quadri del mondo (Nanette è raffigurata in un lavoro di Picasso), distruggono il collage che il candidato alle presidenziali francesi del 2012 aveva costruito frequentando i capi di Stato, i ministri, la stanza ovale di Washington, Downing Street, parlando quattro lingue, il tedesco insegnatogli dal padre Gilbert, l'inglese, lo spagnolo e l'italiano, come aveva dimostrato nel suo intervento di apertura alla convention elettorale dell'Ulivo nel duemila e sei.

Carta straccia, nella cella di Rikers Island fino a venerdì Dominique Strauss Kahn è un uomo qualunque che non deve parlare nessuna lingua.

Il silenzio è l'unica cosa di sua proprietà. Gli ronza nella testa, forse, l'urlo di una donna. O il ghigno delle bugie. E sul petto il segno dei graffi. I polsi portano l'ombra delle manette. La vergogna scivola lungo il suo corpo. La fiamma e la cenere.

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