La stretta sulle indennità e le poltrone: la cura di Pdl e Lega vale un miliardo

Non solo stipendi ridotti ai politici, via 50mila posti negli enti locali. Calderoli: sforbiciata anche per gli "alti papaveri del pubblico". Schifani: "I sacrifici? Partono da noi". Gasparri propone la rinuncia a tre rimborsi mensili

La stretta sulle indennità e le poltrone: 
la cura di Pdl e Lega vale un miliardo

Roma Molto più pesante rispetto alla sforbiciata agli stipendi di parlamentari e ministri, portata alla ribalta venerdì da Roberto Calderoli. Nella manovra di fine maggio allo studio del ministero dell’Economia, il capitolo tagli alla politica c’è. Ed è tutt’altro che simbolico. Il fatto che il ministro alla Semplificazione ne abbia anticipato un pezzo, non ha fatto piacere a tutto il Pdl, come ieri emergeva dalle parole del capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. L’iniziativa, ha precisato l’esponente Pdl, è del «governo nel suo complesso», non sarà adottata «per sollecitazione di questa o quella forza politica che fa parte della maggioranza» e punterà a ridurre «in vari modi» i costi.
La politica, avrà la precedenza: «Se si dovranno fare dei sacrifici è giusto che siano i politici farli per prima», ha sottolineato ieri il presidente del Senato, Renato Schifani. Il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, ha rilanciato rispetto a Calderoli e ha proposto: «Non solo piccole percentuali di riduzione degli stipendi, ma subito la rinuncia ad almeno tre indennità mensili». E anche il ministro del Turismo, Michela Brambilla, ha affrontato la questione, ma puntando sul sociale. Con le risorse risparmiate con i tagli del 5 per cento agli stipendi dei parlamentari e dei ministri, ha ipotizzato, si potrebbe «costruire un fondo per aiutare gli anziani, i giovani e anche le famiglie che sono in difficoltà».
Il fatto è che il taglio alle indennità dei parlamentari e dei ministri ci sarà, anche se peserà poco. Nel dettaglio, una riduzione degli «stipendi» dei parlamentari e dei ministri di cinque punti percentuali comporta risparmi non superiori agli otto milioni di euro all’anno, visto che le spese per le indennità dei deputati si aggirano sui 90-95 milioni all’anno, quelle per i senatori 50 milioni di euro e che i trattamenti economici di ministri e sottosegretari sono voci di bilancio irrilevanti.
Cifre molto inferiori rispetto ai risparmi attesi dai tagli alla politica, che secondo alcune fonti arriveranno al miliardo di euro. Quindi il giro di vite sarà più ampio e toccherà tutti i livelli del settore pubblico. Una seconda puntata, molto più pesante, della legge Calderoli varata lo scorso anno che prevedeva il taglio di cinquantamila poltrone, soprattutto cariche elettive, nelle autonomie locali. «Proprio in quell’occasione - ha spiegato il ministro leghista - mi ero impegnato con gli stessi enti locali, promettendo di fare un’analoga operazione di taglio anche a livello dello Stato e dei suoi organi, per questo proporrò l’intervento sugli stipendi dei ministri e dei parlamentari». La sforbiciata, per Calderoli dovrà anche riguardare gli «alti papaveri» del pubblico.
Ieri al ministero dell’Economia erano ancora al lavoro sui tagli. Nessun dettaglio in più, se non altre indiscrezioni emerse in ambito governativo e parlamentare. Ad esempio quello che riguarda un taglio netto alle consulenze a tutti i livelli. Sia nel governo centrale sia nelle autonomie locali. Una misura che paradossalmente, farebbe piacere anche ai veri interlocutori di queste misure, cioè i sindacati del pubblico impiego, che si troveranno di fronte al congelamento dei rinnovi contrattuali e che chiedono da tempo una riduzione del ricorso agli esterni.
E non è un caso che nei sindacati che stanno dialogando con il governo - quindi in questo momento Cisl e Uil - qualcuno abbia cominciato a fare i conti sui risparmi che porterebbero misure taglia sprechi, che riguardano proprio questi capitoli. Giovanni Faverin, segretario della Cisl Fp, ha calcolato che si potrebbe tagliare il 90 per cento delle consulenze (quelle non necessarie e di natura prettamente politica) in 10.037 enti e aziende pubbliche.

Si potrebbero utilizzare dipendenti che già lavorano negli enti locali e si risparmierebbero tra i 2,5 e i 5 miliardi di euro. Poi si potrebbero consorziare i piccoli comuni. Ma questa è una riforma che non porterebbe a risparmi immediati.

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