I personaggi di Elizabeth Strout si infilano dentro di te e poi non riesci più a dimenticarli. Succede anche nel suo nuovo romanzo, Tutto è possibile (Einaudi). Probabilmente perché sono raccontati nei momenti in cui sono trasparenti nella loro debolezza, nei loro desideri spesso banali e però repressi o mai soddisfatti, nella loro impossibilità a farsi capire, a farsi amare - anche se sono le uniche cose a cui davvero si aggrappi la loro esistenza, ma di solito solo come speranza - nel senso di vergogna e di colpa che si trascinano da decenni, dentro la loro storia.
È indimenticabile per esempio la scena in cui Lucy Barton (già protagonista del romanzo precedente, Mi chiamo Lucy Barton) torna al paese natale, Amgash, nella campagna dell'Illinois e ritrova dopo molti anni la sorella Vicky e il fratello Pete. I ragazzi Burton sono cresciuti come degli appestati, poverissimi, padre ex soldato a volte violento, madre (apparentemente) senza pietà. Lucy però vive da anni a New York, è diventata una scrittrice di successo: Pete adora la sorella, invece Vicky la odia, e nel salotto della vecchia casa di famiglia le confessa, col tono di una accusa: «Mi fai schifo». Però Vicky si è messa il rossetto, per dirglielo. E Pete ha pulito tutta la casa e comprato un tappeto nuovo (orribile). Lucy è costretta a scappare disperata quando ricordano, tutti insieme, il terrore della loro infanzia, quando cercavano cibo nella spazzatura e, se piangevano, erano puniti con crudeltà. La scrittrice della East Coast la definisce «una fitta di mal di denti dell'anima». La prova Pete quando vede la sorella col rossetto, la prova il lettore. Questo è il vero tratto in comune con i suoi libri precedenti, soprattutto con Olive Kitteridge, la raccolta di racconti (Pulitzer nel 2009) a cui Tutto è possibile sembra rimandare, anche nella struttura.
È quel mal di denti che si può curare, o almeno alleviare, quando incontri qualcuno che, per qualche ragione, ti comprende.
Succede - inaspettatamente - a tanti personaggi del romanzo, abitanti di Amgash oppure in qualche modo collegati a loro, tutto il mondo che ha ruotato intorno ai giovani Barton di solito emarginandoli e disprezzandoli e oggi si ritrova a fare i conti con la propria vergogna e le proprie illusioni. Il fatto è che Lucy Barton «aveva avuto la sua dose di vergogna... E si era rialzata esattamente da lì». Ma quasi tutti, dice Elizabeth Strout, possono fare altrettanto.
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