Uno strumento di ricchezza da non demonizzare

Nicola PorroQuando si parla di finanza si pensa sempre al male assoluto. Un tempo questo privilegio del moralmente scorretto era destinato al denaro. I capitalisti, detentori di un mucchio di quattrini, erano oggetto dell'odio generalizzato, oggi i finanzieri ne hanno preso il posto: forse perché i primi indossano la felpa, vivono nella Silicon Valley e sono molto green e sessualmente corretti. Forse occorre rimettere le cose al posto loro. Come nel Denaro di Zola, in cui l'intraprendente Saccard monta (termine finanziario) una banca nell'euforia dell'Expo parigino e nello sviluppo della Cina dell'epoca e cioè il medio oriente, così oggi è facile raccontare la nostra crisi solo in termini di abusi finanziari. Purtroppo non è così semplice. La finanza è una splendida tecnologia. E come tutte le tecniche innovative può anche fare male. Ma senza finanza non ci sarebbe stato il nostro straordinario sviluppo: avremmo avuto qualche crisi in più. Saremmo però stati meno vivi. La finanza ci permette di rischiare di più, di seminare con maggiore sicurezza, di assicurarci maggiormente, di costruire opere complesse e altrimenti irrealizzabili, di sviluppare idee globali senza capitali, di premiare dunque il merito, bruciando su questo altare anche parte del risparmio dei capitalisti. La finanza è demonizzata, spaventa, ma più per gli uomini che la incorporano che per la sostanza che essa rappresenta.

Saccard e la sua Banca universale fallirono, ma il canale di Suez a cui aspiravano, in questo secolo è addirittura raddoppiato. Per favorire il commercio: un tempo categoria dello spirito altrettanto demonizzata in altra aristocratica epoca.

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