Coronavirus

Sudore e (pochi) ristori. Così riparte Codogno l'epicentro del virus

Codogno (Lodi). Le foto raccontano più delle parole. Più dei discorsi che pure grondano in questi giorni di anniversario e celebrazioni. La fila, insieme rassegnata e fremente, è lunghissima.

Sudore e (pochi) ristori. Così riparte Codogno l'epicentro del virus

Codogno (Lodi). Le foto raccontano più delle parole. Più dei discorsi che pure grondano in questi giorni di anniversario e celebrazioni. La fila, insieme rassegnata e fremente, è lunghissima. Un serpentone che sfiora la facciata in mattoni della chiesa di San Biagio e arriva fin sull'altro lato di piazza xx Settembre. «Erano tutti in coda davanti alle nostre vetrine, dalla mattina alla sera- racconta Giuseppe Maestri, titolare della storica e centralissima Farmacia Navilli - Ricordo che ero appeno rientrato con la famiglia dalla settimana bianca. Un amico mi telefonò: Hanno trovato un caso di coronavirus a Codogno. Pensavo fosse uno scherzo, era vero. Come vincere un biglietto della lotteria al contrario».

Il calendario di un paese di sedicimila abitanti diventa in quelle ore il respiro di una nazione: il 21, un venerdì, il sindaco Francesco Passerini blinda la cittadina, il giorno dopo anche i 10 camici bianchi della Navilli si riorganizzano: «Quel sabato abbiamo chiuso i locali e abbiamo messo un tavolo fuori per servire la clientela, ma soprattutto per rispondere alle domande e alle ansie della gente, disorientata, anzi in preda al panico - prosegue Maestri, nominato il 2 giugno scorso cavaliere del lavoro dal presidente Mattarella- Consigliavamo, aiutavamo come potevamo uomini e donne che ci confidavano le loro paure, portavamo le bombole dell'ossigeno nelle case, ma nessuno di noi si è ammalato. Poi a maggio abbiamo tirato il fiato».

Le immagini sono ferite ancora aperte su quel lembo di terra strappato alla normalità e proiettato sotto i riflettori del mondo intero «Ho visto scene - aggiunge Maestri - tipo quelle che erano abituali al confine fra le due Berlino ai tempi della guerra fredda. Una mamma, sigillata nella zona rossa, che davanti ai carabinieri passava alla figlia, residente nell'Italia ancora libera dal virus, un sacchetto della biancheria sporca».
Il sindaco compone un rapido necrologio della prima ondata: «Solo a marzo, rispetto al 2019, siamo passati da 46 a 154 morti, e vai a sapere quanti per Covid, quanti con il Covid, e quanti ancora per altre cause. Dal 21 febbraio all'8 maggio ci sono state in paese 224 vittime e per fortuna ho firmato subito quell'ordinanza che ha attenuato il contagio. Stavamo tutti rintanati in casa, in una dimensione semi-clandestina, con i controlli anche sulle piste ciclabili per scongiurare possibili evasioni da Codogno. Non c'era nemmeno la possibilità di andare al funerale del padre o del fratello».
Dodici mesi dopo, la diagnosi la fanno i negozianti. «Quest'anno ha cambiato tutti - annota Laura Freschi che con la socia Glenda conduce Glamour, tempio dell'abbigliamento femminile proprio di fronte alla Navilli - ci sono situazioni diverse. Un primo profilo è quello del cliente spaventato, incerto, titubante. Ha perso la bussola e non ha più ritrovato la strada di prima».
Ma per fortuna il ventaglio offre altre tonalità: «Ci sono signore che dopo mesi di coprifuoco sono entrate qui dentro e hanno speso un botto, con un atteggiamento quasi compulsivo, per festeggiare il ritorno alla vita. E poi affiora l'orgoglio, l'idea di appartenere a una comunità. Prima chi poteva andava a Milano a fare shopping, adesso rivogliono il borgo e qualcuno ha messo alla porta pure Amazon, considerato un estraneo, un barbaro alle porte».
Miracoli di una pandemia che ha slabbrato ma anche compattato, assestato colpi tremendi ma non ha aspirato tutte le energie vitali. Anzi. Al Caffè Grande di via Roma, proprio di fronte alla casa dove visse, dipinse e disegnò il grande Giuseppe Novello, Emiliano Brizzolari sforna tè e cappuccini a un ritmo indiavolato. Poi, dopo una lunga esitazione, scruta l'abisso da cui è appena riemerso: «È stata dura, durissima. Provi a immedesimarsi: giorni e giorni chiuso in casa a guardare il muro e a piangere, al giro di boa dei cinquant'anni, senza avere i soldi per mangiare e con quattro dipendenti da mantenere. Ho preso un ristoro di 3.300 euro ma mi sono trovato a dover pagare 2.600 euro di contributi, 1.400 di bollette, 6mila di affitto. Pensavo di non farcela, invece una mattina ho preso il secchio, la tinta e il pennello e ho cominciato a ridipingere il mio locale. E poi ho avuto l'idea giusta: Il banco del torrone, sistemato sotto la Loggia del Mercato, all'angolo di piazza XX Settembre. Quel banco ha attirato molte persone e alla fine ci ha salvato».
Mezze catastrofi, ma anche la voglia di ricominciare. Davide Massa, quarantunenne anima del Pastafresca Bistrot, si sofferma fra le pieghe scivolosissime dell'eterna burocrazia italiana: «Al primo giro ho incassato 600 euro di indennizzi, al secondo pensavo di avere 1.200 euro e invece non mi è arrivato nemmeno un centesimo». Il motivo? Massa alza la voce in mezzo al frastuono dei tavoli, distanziati ma strapieni, dove si servono gnocchi, tagliatelle e i tortelli quadrati, diversi da quelli con la coda della vicinissima Piacenza: «Noi abbiamo un doppio motore. Siamo ristorante, ma anche laboratorio per la produzione di pasta fresca. Come artigiani abbiamo tirato giù la saracinesca solo per una manciata di giorni, ma il nostro codice Ateco di maestri pastai, il nostro primo codice, ci ha condannato a non essere risarciti. Però, codice o non codice, abbiamo avuto un crollo del fatturato del 60-70 per cento. E le tasse sono tutte lì da pagare».
Oggi i sedicimila abitanti si trovano vicino alla sede della Croce rossa per l'inaugurazione del Memoriale. I vivi che ricordano i troppi che se ne sono andati e voltano pagina. «È un momento di memoria e di dolore - prosegue il primo cittadino - di riflessione per guardare avanti».
I dati aiutano: i contagiati sono 18, uno solo ricoverato. Resta la macchia dell'ospedale in disarmo. «Lo stanno smantellando un pezzo alla volta - spiega Ezio Scarpanti, medico con studio a Codogno e Piacenza - hanno chiuso un reparto dopo l'altro, hanno tolto ginecologia, in questi mesi di crisi infinita è sparita pure la sala gessi. È rimasto il pronto soccorso». Teatro il 20 febbraio di un anno fa del tampone che scoperchiò il virus in Italia e in Europa: Annalisa Malara ebbe l'intuizione vincente e diagnosticò a Mattia Maestri una malattia che alle nostre latitudini non si era mai affacciata. «Siamo in una fase di emergenza e una parte dell'ospedale è stata riconvertita per i pazienti Covid - riprende Passerini - ma nessuno vuole chiudere la struttura. Certo, non siamo più negli anni Settanta quando per i 220mila abitanti del Lodigiano c'erano quattro plessi a Lodi, Codogno, Casalpusterlengo, Sant'Angelo Lodigiano. In futuro qui verranno ospitati pazienti acuti a media e bassa intensità, prima però deve finire l'epidemia che purtroppo ci fa compagnia da un anno».
Chissà. Per ora le tv arrivate da tutto il mondo puntano le telecamere su questo puntino entrato nella storia.

E si contendono ricordi, sofferenze, speranze.

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