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Sul pianeta Sharapova: «Non chiamatemi robot»

Davide Tieghi

Maria Sharapova, dopo il successo di Wimbledon 2004, un altro giorno da incorniciare: il 22 agosto è salita sul trono del tennis.
«È un risultato che m’inorgoglisce. Avrei preferito diventare la n° 1 del ranking attraverso un successo pesante, ma di questi tempi è meglio accontentarsi».
I maligni sostengono che il suo primato, durato appena una settimana, sia stato solo frutto del complicato meccanismo di assegnazione dei punti.
«Dico a chi mi critica di guardare i risultati di questi anni. L’anno scorso ho vinto cinque tornei, tra cui Wimbledon e il Master, mentre quest’anno sono a quota tre. Se avessi centrato uno Slam, saremmo qui a parlare di annata positiva. La stagione non è ancora finita e all’Us Open sono venuta con grandi motivazioni».
Tokio, Doha e Birmingham non sono tornei paragonabili agli Slam.
«Per una tennista di soli diciotto anni, la doppia semifinale agli Australian Open e Wimbledon, nonchè i quarti a Roland Garros, rappresentano risultati importanti in tempi di magra».
Da lei tutti si aspettano il massimo.
«Nel momento in cui sei sotto i riflettori vuol dire che hai ottenuto qualcosa di significativo. E non è facile essere vincenti dodici mesi l’anno. Guardate Federer, al di là del successo a Wimbledon non mi sembra abbia ottenuto risultati migliori dei miei in Australia o a Parigi. Solo i robot sono sempre al massimo».
Nadal è uno di questi?
«Per un momento ci ho creduto, poi ha perso a Wimbledon e Cincinnati. È umano pure lui».
In un anno la sua vita è cambiata: da teen ager a donna sempre al centro delle attenzioni dei media. Chi è veramente miss Sharapova?
«È stato un anno intenso, ma ricco di emozioni. Tennisticamente ho lavorato molto per progredire, soprattutto sul recupero dopo ogni match. Nel 2004 non avevo mai disputato così tanti incontri. Il resto è logica conseguenza. Se ottieni risultati importanti, è normale essere al centro delle attenzioni di media, sponsor e pubblico. Mi diverto in questo mondo, conosco persone intriganti».
Lei è nella classifica delle «50 persone più belle del mondo» di People Magazine e figura come la tennista più sexy del pianeta secondo Ace Magazine.
«Tutto questo mi fa impressione, ma sono arrivata fin qui grazie al mio tennis e non al fatto che mi chiamo Maria Sharapova, quasi che il mio nome fosse un marchio di fabbrica. È giusto sfruttare la propria popolarità quando si è all’apice del successo. Il tennis è come il cinema: oggi sei famoso, ma domani riuscirai a far meglio?».
Torniamo al presente: Flushing Meadows.
«Fisicamente ho recuperato dall’infortunio patito a Los Angeles. Spero di crescere con il torneo, qui a New York ci tengo a far bene».
Nei mesi scorsi si era ipotizzato l’uso dell’instant replay all’US Open, cosa che è poi stata abortita. Potrebbe essere una soluzione da prendere in considerazione?
«Sarebbe d’aiuto, a condizione che sia affidabile. Il tennis ha bisogno di correttezza, così nessuno di noi potrà lamentarsi affermando di aver perso un match per colpa dell’arbitro».
Justine Henin, le sorelle Williams e Lindsay Davenport sono le avversarie più temibili nella corsa allo Slam americano?
«A loro aggiungerei la Mauresmo e la Clijsters. Sono tutte giocatrici di grande forza fisica. Se dovessi fare un nome punterei sulla Davenport, che sul cemento non ti regala niente».
Non ha citato tenniste russe. Si dice che i rapporti tra voi non siano idilliaci. Con chi si trova più a suo agio?
«Con una coetanea moscovita, Maria Kirilenko. Ci conosciamo da quando eravamo bambine e fino a cinque anni fa abbiamo diviso lo stesso coach: Rauza Islanova, la mamma di Marat Safin. È la mia migliore amica nel tour».
Maria&Maria: il presente e il futuro del tennis?
«Perché no. Per riuscire a sfondare dovrà diventare più forte dal punto di vista fisico.

Come chi? Come me».

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