Emanuela Fontana
da Roma
Il confronto sulla missione in Afghanistan si aprirà molto presto e nella coalizione di governo lo si dice ora apertamente. LIrak è una questione in parte chiusa nelle intenzioni (il ritiro nei prossimi mesi) un po meno nei tempi, perché la sinistra radicale pretende una ritirata immediata e più ragionevoli esponenti della maggioranza chiariscono che loperazione non si può chiudere dalloggi al domani. Ma sullAfghanistan le voci sono troppo discordanti per non avviare la discussione prima che il decreto sul rifinanziamento delle missioni arrivi in consiglio dei ministri. Se il sottosegretario agli esteri Gianni Vernetti della Margherita o il ministro delle Politiche comunitarie Emma Bonino propongono un rafforzamento della presenza militare come vuole la Nato, di contro Pdci, Rifondazione e verdi chiedono il ritiro. Il capogruppo di Rifondazione alla Camera, Gennaro Migliore, auspica che si utilizzi il «metodo Irak» per lAfghanistan, ossia laddio alla missione.
Ecco allora che è lo stesso Migliore a chiedere il «confronto» dopo la richiesta dellAlleanza atlantica di avere sei nuovi cacciabombardieri dallItalia e un rafforzamento del contingente anche per le indagini sui latitanti talebani: «Ora nella maggioranza bisogna subito aprire un confronto per valutare la missione fino ad oggi e cambiarne la natura, perché in Afghanistan la situazione è peggiorata». Anche il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, non nasconde lesistenza del problema Kabul: «Evidentemente questo nodo va sciolto oggi con una discussione: noi non diciamo un sì o un no, noi vogliamo discutere a partire dai dati di realtà».
La teoria di Migliore del modello Irak per lAfghanistan è ben lontana dalla riflessione del ministro degli Esteri e vicepremier Massimo DAlema sulla differenza tra i due «quadri», quello iracheno e quello afghano. Ma per ora è lo stesso DAlema a evitare di parlare della richiesta Nato di nuovi cacciabombardieri dallItalia verso Kabul o Herat, preferendo attaccare invece lopposizione sul terreno meno scivoloso in termini interni dellIrak: «Le polemiche violente su questa vergognosa fuga degli italiani sono sconcertanti». Sul fronte Irak, il ritiro è appunto una questione di tempi, ma appare chiaro che il «prima possibile» del ministro della Difesa Arturo Parisi significa non immediatamente. Lo ha chiarito ieri persino il ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, riferendo del suo colloquio con il nostro ministro degli esteri in Lussemburgo, prima tappa del tour diplomatico di DAlema: lintesa, spiega il capo della diplomazia irachena, è stata per «un ritiro italiano non improvviso o brusco, e che non lasci dietro di sé un vuoto di sicurezza, ma sia graduale. La posizione italiana continuerà a essere di forte appoggio al governo e al popolo iracheno, questo è quello che mi ha assicurato il ministro DAlema».
DAlema incontrerà oggi lambasciatore Usa a Roma Ronald Spogli, prima fase di un colloquio con gli americani che si concretizzerà nel viaggio a Washington di venerdì. Lincontro DAlema-Spogli dovrebbe appunto preparare la visita del vicepremier al Segretario di Stato Condoleezza Rice. Ma la discussione non sarà solo tecnica perché si parlerà anche di Irak, e in particolare Spogli rinnoverà con alte probabilità il pressing Usa sullItalia perché il governo Prodi mantenga una presenza civile in Irak nonostante il ritiro dei militari. In agenda anche la discussione sullAfghanistan.
Il capogruppo del Prc al Senato, Giovanni Russo Spena, ammette che su questa missione «ci sono idee diverse» ma, insiste, «non cè nessuna confusione nella maggioranza, né insanabili contrasti sullAfghanistan». Le dichiarazioni però dicono il contrario, secondo il segretario dellUdc Lorenzo Cesa, che chiama il governo «a riferire in Parlamento. Questa confusione - sottolinea - mette a repentaglio la stessa opera dei nostri soldati che sono in missione di pace».
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