Ninive, VI secolo avanti Cristo: i giardini del palazzo reale sono lussureggianti, il re Assurbanipal ha vinto un'altra guerra, l'ennesima. Il re degli Elamiti sta per essere macellato, dalla parte bassa del palazzo viene il consueto tanfo di leoni morti. Quelli che i dignitari e sua Maestà, il servo di Assur, massacrano per sport e per mostrare la propria virilità. La regina Libbali dovrebbe essere la serafica sposa dell'uomo più potente del creato. È bella Libbali, i suoi ricci hanno ispirato poemi, le sue corone e le sue acconciature sono celebri, legge e scrive in più lingue.
Eppure nei suoi occhi c'è il terrore. Il re sa, l'indovina ha parlato - «La tua donna giace con un ebreo, la tua città caduta sarà nei libri dei profeti e Babilonia sarà vendicata...» - ha raccontato della tresca di Libbali con il mago Avhiram, il prigioniero che viene dal regno di Israele e ha gli occhi di lapislazzulo.
E in un palazzo in cui non si conosce la pietà cose del genere possono portare solo verso la stanza bianca. La stanza bianca ha due porte. Da una entra «Ogni cosa cattiva», dall'altra esce «Ogni cosa buona». Nessuno esce vivo da quella stanza. Infatti quando Libbali vede la testa mozzata del suo amore clandestino inizia a capire. E poi seguita dalle sue ancelle corre, ululando di dolore, verso la stanza bianca. Ci trova i corpi delle sue figlie. Anche lei sarebbe destinata a non uscirne. Ma c'è la figlia del mago Avhiram, che lei una volta ha protetto. Scatena le fiamme, l'aiuta a fuggire, a lasciare il palazzo per andare verso un'eterna vendetta.
Inizia così il romanzo La Babilonese (Bompiani) di Antonella Cilento e poi comincia a muoversi a spirale attraverso i secoli, con vite che tornano ad incrociarsi in una magica sciarada.
Nuotando con l'autrice attraverso le onde del tempo il lettore incontrerà, a metà Ottocento, l'archeologo Henry Layard, scopritore delle città assire, che nel mezzo dei suoi successi è perseguitato dalla visione di una donna misteriosa accompagnata da una bambina che porta una lucerna. Poi verrà sbalzato all'indietro nella Napoli del 1655: mentre la peste infuria, il pittore Aniello Falcone incontra la maga Albalì e la sua sfuggente figlia. E poi nel 1683, quando l'erudito Sebastiano Resta si imbatte in un disegno di Falcone che allude a una madonna o a una maga. È invece il 1881 quando Filomena Argento, epigona di una dinastia di setaioli, eredita quel disegno e incontra Madame Ballu, negromante, e sua figlia... Infine, nella Napoli di oggi una coppia scricchiola sotto il fallimento di un progetto imprenditoriale: anche il loro destino sarà segnato dall'incontro con una giovane e luminosa ragazzina.
Il risultato è un romanzo di romanzi che gioca con molti generi, con la lingua e con il
dialetto, ma soprattutto col tempo e con il dolore umano che nel tempo lascia cerchi concentrici che si espandono. Alla fine però il dolore scivola via e lascia spazio solo all'amore o alla sua ombra, che si chiama malinconia.
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