Via alla super Borsa Londra-Toronto-Milano

Scoppia la guerra dei listini: alla fusione tra Lse e il Tmx canadese, risponde l’aggregazione tra Wall Street e Deutsche Boerse. Paolo Scaroni vicepresidente del nuovo gruppo, settimo al mondo per capitalizzazione

Alla fine i tre amanti sono finiti nello stesso letto. Anche sotto le al­tre lenzuola che ospitano le Borse mondiali si annunciano grandi ma­novre. Ieri è infatti stata annunciata la fusione fra la Borsa di Londra (che nel 2007 si era sposata con Bor­sa Italia) e il mercato canadese TMX. La storia delle tre Borse è sem­pre stata intrecciata, in particolare agli inizi degli anni Novanta, quan­do in Italia le contrattazioni si tene­vano ancora in Piazza Affari a Mila­no con il sistema «alle grida», fatto di strilli e segni misteriosi tra gli ope­ratori per concludere gli scambi. Fu allora che la Borsa di Londra comin­ciò a scambiare le azioni italiane su una propria piattaforma, il Seaq, un embrione di mercato telematico che aveva dalla sua la trasparenza. Borsa Italia corse ai ripari ed acqui­stò proprio dalla Borsa canadese un innovativo software che fu alla base dell’attuale mercato telemati­co, che si rivelò assai efficiente, rin­tuzzando così l’offensiva di oltre­manica. Alla luce della fusione di ie­ri quelle schermaglie di vent’anni fa sembrano vecchie come quelle foto ingiallite trovate in fondo ai cas­­setti: il nuovo gruppo sarà il primo del mondo per numero di azioni quotate e sulla carta si pone come concorrente diretto della potentis­sima Borsa americana. La reazione è stata immediata e subito il New York Stock Exchange, che già controlla la Borsa paneuro­pea Euronext, ha annunciato «avan­zati contatti » per la fusione con Deu­tsche Boerse, il mercato finanziario tedesco. Si prospettano quindi due mega-blocchi che si fronteggeran­no per la supremazia sulla gestione degli scambi finanziari mondiali con una spinta vertiginosa verso la concentrazione. Nella nuova entità che prenderà forma dopo la fusio­ne italo- anglo-canadese l’Italiarie­sce a strappare una posizione di pe­so con uno dei nostri manager più potenti,il ceo dell’Eni (nonché con­sigliere di Generali) Paolo Scaroni, a cui andrà la vicepresidenza del gruppo, scelta non casuale perché la forza principale della nuova me­ga- Borsa sarà soprattutto legata al­le società estrattive ed energetiche, di cui era già leader il circuito Tmx. Un altro ruolo importante sarà per Raffaele Jerusalmi, a cui dovrebbe andare la direzione operativa. Com­pleterà la presenza italiana il consi­gliere Massimo Tononi. Non mancano tuttavia le ombre sull’operazione,fattesi più fitte a se­guito della contromossa della Bor­sa di New York: innanzitutto nono­stante l’ingresso di un peso massi­mo come Scaroni, deve essere regi­strata l’inevitabile diluizione della presenza italiana, che avrà solo tre rappresentanti su un totale di 15 membri del nuovo consiglio di am­ministrazione. Nel London Stock Exchange erano stati assegnati al­l’Italia cinque consiglieri, quindi ne decadranno due, che rappresen­tavano i primi veri sconfitti di que­sta operazione, vale a dire le grandi banche italiane,le vecchie “proprie­tarie” della nostra Borsa. Gli istituti di credito di casa nostra hanno sem­pre visto con fastidio la quotazione in Borsa delle società per reperire fondi, preferendo il potere che deri­vava dal prestito diretto: adesso rac­colgono i frutti della loro miopia ri­manendo del tutto fuori dalla gover­nance della nuova struttura, di cui manterranno solo quote minorita­rie, ininfluenti di fronte al peso dei principali azionisti del London Stock Exchange, le autorità di inve­stimento di Dubai e del Qatar. Un altro dubbio evidente sorge dalla collocazione geografica: una fusione rivale fra il New York Stock Exchange e Deutsche Boerse, com­prendendo anche la piattaforma Euronext creerà di fatto un mercato paneuropeo di area Euro, metten­do la presenza italiana nel gruppo gravitante attorno a Londra in una posizione anomala.

Un altro punto di domanda è rap­­presentato dalla dipendenza della nuova Borsa dai titoli delle materie prime, che molti pensano essere og­getto di una bolla speculativa assai rischiosa. Insomma, ci sono molti indizi che le decisioni prese anni fa dagli azionisti di controllo di Borsa Italia Spa abbiano portato il nostro mercato su una grossa nave, ma di­retta nella direzione sbagliata.

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