Politica

Sventato attacco all’Italia, presi tre kamikaze

L’attentato previsto «entro breve tempo»

Gian Marco Chiocci

da Roma

Un attentato contro gli «infedeli» italiani. Un’azione eclatante, da «attuare in tempi brevi», affidata a una cellula «dormiente» del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento attiva fra Napoli, Salerno, Vicenza e Brescia. Un ordine di morte impartito a tre presunti kamikaze collegati alle vecchia rete islamica partenopea ribattezzata «Lounici», dal nome dell’algerino Diamel Lounici condannato con sentenza definitiva per fatti di terrorismo.
Le presunte intenzioni sanguinarie di tre algerini legati al Gspc (che ha firmato le stragi di Casablanca e Madrid) si sarebbero infrante martedì mattina davanti all’emissione di tre fermi per associazione per delinquere con finalità di terrorismo scaturite da un’indagine del Sismi in tandem con i carabinieri del Ros. Destinatari dei provvedimenti ancora da convalidare davanti al gip, sono il trentatreenne Yamine Bouhrama, soprannominato «l’artificiere», considerato un esperto nel confezionamento di esplosivi dopo tre anni d’addestramento in cinque campi tra Afghanistan, Georgia e Cecenia; il concittadino Mohamed Larbi (come Bouhrama proviene dalla cittadina di Husseyn Dey) fautore in moschea e su internet della jihad globale; Khaled Serai, anch’esso fanatico salafita, il più giovane del gruppo. Tre nomi qualunque. Tre algerini dal comportamento apparentemente irreprensibile. Tre bravi ragazzi che alla fine del 2002 scompaiono però dalla circolazione in seguito alla retata antiterrorismo della procura di Napoli.
Fin qui, poco di preoccupante. Se non che, a forza di monitorare gli spostamenti di Yamine Bouhrama, gli 007 si ritrovano catapultati in un residence occupato da extracomunitari maghrebini all’interno del quale alcuni appartenenti all’associazione estremista Takfir Wal Hjira studiano azioni comuni con emissari del Gspc. Agenti segreti e carabinieri del Ros concentrano così gli sforzi tra Vicenza e Brescia e si incuriosiscono dal bassissimo profilo di Buhrama, privo di precedenti penali, schivo nei rapporti interpersonali, attento ad ogni parola pronunciata dentro casa o al telefono. Eppure, come annota il Ros, Bouhrama è animato da pericolosi sentimenti radicali che maschera con maestria. Un perfetto «dormiente». Così l’intelligence decide di lavorarci su, intensifica gli accertamenti e risale all’addestramento militare ricevuto nei centri afghani e nelle montagne georgiane di Pankisi. Scavando ancora, rintraccia una serie di legami con alcuni connazionali arrestati in Gran Bretagna perché sospettati di voler compiere attentati ricorrendo all’uso della ricina, una biotossina. Fra questi c’è - sorpresa - anche suo fratello Moulud che si sarebbe industriato per procurare gli ingredienti necessari a confezionare la sostanza letale.
Nel frattempo anche Serai si dà da fare. Intensifica i contatti negli ambienti «salafiti» ma commette qualche passo falso. Tant’è che a metà 2004, forse subodorando qualcosa, insieme a Bouhrama scappa con un documento falso, passa per la Francia, e finisce per nascondersi in Norvegia dove può contare su personaggi in qualche modo orbitanti intorno al mullah Krekar ad Oslo, il fondatore dell’organizzazione estremista Ansar al Islam.
L’esilio dura cinque mesi e s’interrompe quando la coppia viene richiamata urgentemente in Italia alla fine del 2004 utilizzando documenti falsi procurati da fiancheggiatori locali. Una volta a Napoli Serai e Buhrama assumono un profilo ancor più defilato di prima, si muovono a piedi o in treno, usano cabine telefoniche, cambiano spesso città facendo la spola tra Brescia, Vicenza e Napoli (zone di Capaccio e Aversa) per non lasciare tracce: il tutto è finalizzato, secondo gli investigatori, a mettere in piedi un attentato «in tempi brevi». Anche perché in quel di Brescia, il terzo socio algerino, Mohamed Labi, attraverso il call center dove lavora è in contatto sia con i connazionali «britannici» della ricina, sia con altri esponenti salafiti giudicati «pericolosi» dall’intelligence. Così quando la cellula riesce a procurarsi il «materiale» necessario per l’attentato, Sismi e Ros decidono di allertare il coordinatore della Dda di Napoli, Franco Roberti. L’ultima parola ora è del gip, chiamato a confermare il fermo e l’impianto accusatorio che troverebbero una sponda nelle rivelazioni del commissario europeo Franco Frattini su alcune filiere di Al Qaida stroncate grazie alle informazioni degli 007 italiani: «I servizi di intelligence e le autorità del nostro Paese hanno dato un contributo importante, se non decisivo, negli ultimi 10-11 mesi, a tagliare almeno tre reti regionali terroristiche in Europa».

Un nuovo pericolo per Frattini è rappresentato «dal reclutamento delle organizzazioni terroristiche di cittadini europei convertiti perchè spinti dal fanatismo».

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