In natura qualsiasi organismo, raggiunto da corpi estranei, cerca o di integrarli o di espellerli. Succede anche in quei grandi, multiformi organismi che sono i popoli. Ogni popolo può, e spesso è ben disposto, ad accettare individui, abitudini, comportamenti appartenenti ad altri popoli, finché non se ne sente attaccato o addirittura danneggiato.
Accade però che gli Stati siano organismi diversi dal popolo che li abita. Ordinati da complessi sistemi legislativi, da accordi internazionali, dalle mutevoli necessità della politica, il loro comportamento difficilmente riesce a interpretare in toto l'anima e i bisogni del popolo. Ciò è tanto più vero per i governi, espressione della maggioranza - ma non della totalità - degli elettori.
Aggiungiamo che, di regola, tutto ciò è un bene, perché i popoli non rappresentano la saggezza incarnata, né hanno sempre ragione. Soggetti a emozioni e umori, privi della preparazione tecnico-strategica necessaria per affrontare certi problemi, i popoli possono prendere facilmente atteggiamenti o decisioni sbagliate, se abbandonati a una sorta di democrazia plebiscitaria o populista. Basti pensare - l'esempio è fulminante - a quale enorme errore venne commesso nel referendum che tanti anni fa impedì all'Italia di disporre di energia nucleare: sottoposti ugualmente all'ipotetico pericolo di radiazioni dalle vicine centrali straniere, siamo stati costretti a comprare energia proprio da quei Paesi che le centrali le hanno, e infine arriveremo con grande ritardo a costruirle anche noi.
Tutto ciò serve a introdurre un discorso delicato, delicatissimo, perché può essere frainteso, spesso in malafede, attirando su chi lo fa l'accusa infamante di razzismo. Sto, ovviamente, parlando della Svezia e degli svedesi, che nelle elezioni dell'altro giorno hanno mandato in Parlamento - per la prima volta - i "Democratici di Svezia" (Sd) di Jimmie Akesson: con il 5,7% dei voti sono diventati una forza determinante nella politica di quel Paese.
La Svezia aveva già sorpreso l'opinione pubblica internazionale, quattro anni fa, mandando a casa, dopo ottant'anni, quei socialdemocratici creatori di un ipotetico paradiso in terra che assicurava una protezione del cittadino «dalla culla alla tomba». Paradiso ipotetico, se si pensa che la Svezia ha una percentuale di suicidi fra le più alte del mondo, eppure di certo confortevole, se si pensa all'assistenza sanitaria, alle politiche scolastiche e della famiglia. Ma i socialdemocratici, nei loro sforzi di portare tutti - proprio tutti - in paradiso, non hanno tenuto abbastanza conto del fatto che anche gli svedesi sono un organismo che dispone di corpi e di anticorpi.
I socialdemocratici persero, quattro anni fa, per la loro eccessiva apertura all'Unione europea (nel 2003 un referendum respinse l'ingresso nell'euro), e la loro apertura - evidentemente eccessiva - all'immigrazione. Più rigido verso l'Unione Europea, il governo di centrodestra guidato da Frederik Reinfeldt non lo è stato abbastanza rispetto all'immigrazione, visto che oggi il 14 per cento della popolazione svedese è composto da immigrati, in buona parte extracomunitari islamici.
E sono scattati gli anticorpi, ovvero l'estrema destra di Jimmie Akesson, ovvero un giovanottone in giacca e cravatta - obbligatoria nel partito - che ha ripulito i suoi non con la giacca e la cravatta ma soffocando (almeno all'apparenza) la componente apertamente razzista del Sd. Il futuro ci dirà se ci è riuscito. Di certo, quanto è avvenuto in Svezia è una lezione interessante per tutti gli altri Paesi europei, in special modo per quelli guidati dal centrodestra. I quali, se adottano una politica troppo tollerante verso l'immigrazione, regalano all'estremismo spazi che posso diventare anche molto vasti. In Italia è già successo anni fa (con il centrosinistra) riguardo alla Lega. Per questo in molti Paesi si sta correndo ai ripari, in Danimarca, per esempio. In Francia Sarkozy in persona si è assunto il compito non facile applicare una politica rigida ai rom, per non far risorgere il lepenismo. In Spagna persino Zapatero, zitto zitto, sta procedendo all'espulsione di immigrati irregolari o nei guai con la legge.
«Tutti gli immigrati non sono dei criminali, certo, ma c'è una connessione», ha detto Akesson, sottolineando come le politiche in merito a immigrazione e criminalità siano «ciò che ci differenzia dagli altri partiti». Un’argomentazione certamente sgradevole, ma non quanto le statistiche che lo supportano.
Infine, una politica rigorosa Stato per Stato, da sola non basta.
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