Cronache

Tace la chitarra che vibrava i suoni dell’arte

Gli anni di Vittorio Centanaro. Uno dei più grandi chitarristi classici italiani se n’è andato qualche mese fa. Ha lasciato la moglie, Giulia Lupi e due belle figliole Valentina e Micaela.
Gli anni di Vittorio erano gli anni Sessanta. Passato il momento del grande dolore, riaffiorano i ricordi di quelle stagioni che furono per noi, cresciuti con lui, straordinariamente belli e piacevoli. Con Giulia torna quel passato indimenticabile, un passato di una Genova musicalmente all’avanguardia. Centanaro venne scoperto, per caso, da un regista indimenticabile, nel ’60 che si chiamava Armando Trabucco. Aveva messo in scena un testo di Garcia Lorca ed aveva bisogno di un chitarrista: eccolo, gli disse un’altra splendida attrice di allora, Silvana Ottonello. Era proprio lui, Vittorio. E fu in quell’occasione che Giulia e Vittorio si conobbero e poi si innamorarono.
Erano anni fervidi di iniziative culturali, sbocciava il Cut (il Centro universitario teatrale) con Cesare Viazzi, per anni direttore della sede Rai di Genova, e con Arnaldo Bagnasco attore di primissimo temperamento che scendeva da via Balbi, sede del Centro, declamando: «C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico...».
Erano gli anni dei cantautori che stavano crescendo sulle panchine della Foce: Lauzi, Tenco, Paoli, Bindi e quell’indimenticabile «poeta maledetto» di nome Mannerini. E nascevano i primi cabaret che sarebbero poi esplosi in tutta Italia. E fu proprio Giulia Lupi, una delle protagoniste di questi spettacoli di nicchia. Il titolo del suo primo cabaret si chiamava: «Il caffè delle cose inutili». Debutto al Circolo dei giornalisti in piazza De Ferrari (allora il giornalismo genovese era davvero ben organizzato). Regista era Roberto Freschi, oggi avvocato di grido, interprete Gianni Fenzi che diventò poi attore e regista allo Stabile (è mancato un po’ di anni fa). E le belle donne di allora, corteggiate e ammirate; Lucetta Frisa, la selvaggiamente scapigliata Rita Sartori.
Nasceva allora il mitico «Instabile», in una cantina di corso Europa (e lo gestiva Ada Lorini, poi firma del Secolo XIX, mancata mesi or sono), spostatosi poi in via Trebisonda. Da lì partirono i grandi cabarettisti dell’epoca: Grillo, Braschi, Franco e Mimmo, Razetti ed anche quell’Antonio Ricci che tentava di diventare attore (fu un fallimento), ma poi si ravvide ed oggi sappiamo anche qual è il suo patrimonio in banca. Un carrierone!
Ma nascevano anche cabaret minori, ma fascinosi dove si facevano le ore piccole con spettacoli, performance, monologhi proprio con Giulia Lupi sempre alla ribalta. Chi dimentica «La Cripta», una piccola chiesa sconsacrata nella zona di piazza Campetto? E «La stalla», in un vicolo cieco di fronte al palazzo del catasto? E «Il Cantinone» dove, in verità si chiudeva la notte con le ballerine che uscivano all’Augustus al termine delle riviste di Macario e di Dapporto.
Ma Vittorio Centanaro visse i suoi anni più fecondi accanto all’inseparabile Ciancio Winderling, altro artista di grande sensibilità, chitarrista eccellente. Era di Ruta, sognava di diventare campione di ping-pong, ma un loro spettacolo «Nel nome della rosa» li portò al successo internazionale.
Vittorio Centanaro verrà tumulato in un piccolo cimitero di campagna, in un antico borgo dell’Oltrepo pavese, Castana, dove per anni visse con Giulia e con noi, amici di sempre. La «cascina» dove si consumarono serate indimenticabili fra le nebbie padane, la Bonarda a lui tanto cara, fra canzoni e poesie, si chiama Casa Colombi.

Lo promise a quegli amici di allora: «Quando morirò mi porterete su, fino al piccolo cimitero, per stare sempre con voi».

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