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Talebani all’attacco nelle zone «italiane»

Andrea Nativi

Due distretti nella provincia afghana di Fahar sarebbero caduti nelle mani dei talebani. Si tratta delle città di Farah Rud e Dal Aram, nella zona occidentale del Paese, dove si trova anche il Prt, il centro di ricostruzione provinciale a guida italiana di Herat. Proprio nella provincia di Farah l'8 settembre i talebani hanno attaccato un convoglio delle forze Nato impegnate nella forza Isaf, ferendo quattro soldati italiani.
La notizia arriva dalla rete televisiva al-Alam, ma non trova conferme ufficiali. A quanto sembra si è trattato di una incursione in forze, ma i soldati spagnoli, responsabili del Prt di Farah, non hanno segnalato la occupazione permanente di villaggi o di città da parte della guerriglia.
A Farah e a Herat sorgono due dei quattro Prt dipendenti dal comando regionale occidentale (Rac-W), guidato da un generale italiano. E le informazioni che giungono dalle pattuglie, dagli informatori e dai funzionari governativi confermano un incremento della attività della guerriglia, sempre più aggressiva, anche nelle province settentrionali.
I talebani stanno compiendo il massimo sforzo, approfittando delle ultime settimane con condizioni meteorologiche favorevoli, prima che il maltempo ostacoli o renda impossibile gli spostamenti e le operazioni di combattimento. Anche i generali Nato e statunitensi sono consci che la stagione estiva, che in Afghanistan segna il picco delle operazioni militari, volge al termine e conducono con la massima intensità operazioni offensive, perché i guerriglieri presto torneranno a svanire tra la popolazione, limitandosi a effettuare imboscate e attentati, ma non operazioni su vasta scala.
Per lo stesso motivo il comandante di Isaf, il tenente generale britannico David Richards, vuole ricevere al più presto i rinforzi che ha chiesto all'Alleanza. Ma si dovrà rassegnare: se l'ambasciatrice statunitense alla Nato, Victoria Nuland, ha ancora ieri auspicato l'invio di nuove truppe entro i primi giorni del prossimo mese, in realtà la "campagna" condotta dalle autorità militari alleate per ottenere dai governi 2.500-2.700 militari in più e un certo numero di aerei da trasporto ed elicotteri si può dire fallita. Per ora soltanto il Canada sta studiando l'invio di 120 soldati e di una quindicina di carri armati Leopard. Ma il generale Richards già da 18 mesi ha chiesto di costituire una forza mobile di pronto intervento di mille uomini, da impiegare dove necessario per sfruttare un successo o risolvere una situazione critica, nonché significative capacità aeree, con 1.500 uomini tra equipaggi e tecnici di supporto.
Le richieste sono rimaste lettera morta. Compresa quella di poter spostare soldati, come quelli tedeschi, turchi o italiani, dalle zone più tranquille a quelle dove è necessario combattere. Anche il progetto di schierare in Afghanistan una forza di elicotteri da trasporto Mi-8 e Mi-17 e di elicotteri da combattimento Mi-24 della Repubblica ceca è naufragato, ufficialmente a causa di mancanza di fondi per portare gli elicotteri agli standard Nato. Un brutto colpo, perché si parlava di circa 60 elicotteri, preziosissimi in un paese montagnoso dove la mobilità stradale è precaria.
I governi continuano a ignorare le richieste dei militari, basti considerare la reazione quasi isterica con cui la sinistra estrema italiana ha accolto l'indiscrezione secondo la quale l'Italia vorrebbe inviare in Afghanistan un aereo da trasporto C-130J e due velivoli senza pilota Predator. Tutti mezzi disarmati. Ma il ministro della Difesa ha dovuto smentire per evitare una nuova crisi politica nella maggioranza.
In effetti di Predator in Afghanistan si era a suo tempo parlato, come di altri velivoli ben più bellicosi, ma il governo è politicamente incapace di rinforzare il contingente italiano. E poco importa che il consiglio di sicurezza dell'Onu abbia appena approvato il rinnovo del mandato dell'Isaf, in scadenza il 13 ottobre, per un altro anno. Evidentemente non tutte le missioni Onu sono uguali.

All'entourage del ministro della Difesa interessa più che altro che nessun ufficiale parli troppo delle operazioni in corso in teatri diversi da quello libanese.

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