Lidea di una tassa sulle banche risuona allorecchio di industriali e banchieri italiani più fastidiosa delle vuvuzelas, orrendo sottofondo musicale dei Mondiali in Sudafrica. Non che al governo lipotesi di matrice tedesca, e di prossimo approdo al G20 di Toronto, piaccia. Tuttaltro. Ma, almeno per ora, non è ancora il momento di alzare la voce. Giulio Tremonti è però chiarissimo nellillustrare la posizione tricolore: «Non tutte le realtà sono uguali, non tutti i Paesi sono uguali. Noi vorremmo che fosse sviluppata una discussione flessibile Paese per Paese», spiega il ministro dellEconomia. Insomma: lasciateci le mani libere in modo da poter decidere in autonomia, senza imposizioni dallalto.
Non uno dei nostri istituti di credito, del resto, è stato salvato dalla crisi con quattrini pubblici. Gli stessi Tremonti-bond hanno visto ladesione di uno sparuto drappello di banche (Mps, Banco Popolare, Bpm e Valtellinese). Unanomalia rispetto a gran parte dellEuropa, dove i salvataggi sono costati ai governi miliardi di euro. Così, il «no» dellAbi risuona forte. È la voce di unintera categoria che si sente già tartassata, prosciugata da «una pressione fiscale effettiva del 44%, fra le più elevate in Europa» e che quindi rigetta «lintroduzione di nuove imposte indipendentemente dalla loro finalità». Il rischio? Meno soldi, in caso di prelievo forzoso, da destinare alleconomia reale. In parole povere, meno prestiti. Accusate più volte di aver fatto poco per aiutare aziende e famiglie nei momenti bui, le banche non ci stanno. Proprio il modello di business, meno orientato alla finanza e più diretto a imprese e famiglie, ha provocato un forte aumento delle sofferenze: 64 miliardi di euro, pari al 3,53% del totale degli impieghi, con un incremento di circa il 50% rispetto al 2009. Il costo del rischio sui crediti è aumentato da circa 9 miliardi, dato del 2007 (anno prima della crisi), a quasi 21 miliardi nel 2009. «È perciò evidente - conclude lAbi - che il sistema bancario italiano è già gravato da un incremento di costi e che una nuova tassa peserebbe ulteriormente sulle banche e sulleconomia tutta».
Anche Alessandro Profumo, numero uno di Unicredit e presidente della Federazione europea delle banche, non usa mezzi termini. Lidea di una tassa destinata a finanziare i bilanci pubblici è giudicata «profondamente sbagliata. Se mi si dice che devo pagare la tassa perchè ho ricevuto fondi pubblici, noi come Unicredit non ne abbiamo ricevuto per niente, quindi è profondamente unfair (ingiusta, ndr)». Lalternativa è la costituzione di un fondo in grado di intervenire nei momenti di pre-insolvenza. «Noi come Unicredit faremo una proposta e ne discuteremo con altri operatori di mercato».
La stessa preoccupazione, anche se per motivi diversi, si coglie dal fronte confindustriale. Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, è contraria alla tassa perchè «si trasformerà in maggiori costi per le imprese e i risparmiatori. È come dire - aggiunge - che ci sarà un'altra crisi e che si preparano già i soldi per poterla pagare. Preferiamo una logica di nuove regole e di regolatori attenti, mi sembrerebbe una soluzione migliore perchè le tasse sulle banche alla fine passano sempre sulle imprese e sui risparmiatori».
Al G20 di Toronto la partita sarà comunque delicata. Non è infatti ancora chiaro se verrà adottata la proposta della Germania di una tassa vera e propria (i cui criteri di calcolo sono ancora tutti da definire), oppure se la scelta cadrà sulla creazione di un fondo, come auspicato da Profumo. La posizione di Bruxelles sembra però già definita. «La proposta della Commissione è di un fondo di previdenza ex ante, non è un prelievo sulle banche che va ai governi. Questa è la mia proposta», spiega il commissario Ue al Mercato interno, Michel Barnier, che ieri ha incontrato Tremonti.
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