Politica

La tassa sul mattone rischia di far sparire tutto il ceto medio

Il ritorno dell'Imu colpisce professionisti e impiegati. Ma Berlusconi venne criminalizzato per l'esenzione

La tassa sul mattone rischia di far sparire tutto il ceto medio

Negli ultimi tre anni, ci informa uno studio della Banca di Ita­lia, la concentrazione della ric­chezza è aumentata di parec­chio, dando luogo a nuovi squilibri sociali. Nel 2008 il 10 per cento delle famiglie italia­ne più abbienti possedeva il 40 per cento della ricchezza: attualmente la sua quota è aumentata al 45%. Poiché in questi anni la ricchezza italiana non è aumentata, ma è un po’ diminuita, a causa della crisi, l’au­mento percentuale della quota dei ricchi implica che la ricchezza delle famiglie del­le restanti classi economico­ sociali è dimi­nuita di più di quel che si sia ridotto, in me­dia, il benessere nazionale.

Così nasce la questione se il governo ne abbia tenuto conto nella politica per ripa­rare i guasti provocati dalla crisi al bilancio pubblico. E qui emerge una profonda diffe­renza fra il governo politico di centrode­stra di Silvio Berlusconi e il governo tecni­co di Mario Monti, che il Pdl appoggia per senso di responsabilità, ma da cui spesso dissente. La differenza di sensibilità rispet­to alla perdita patrimoniale delle classi a basso reddito e a reddito medio, da parte di questo governo rispetto al precedente, emerge nel modo come è stata trattata la prima casa.

Si era quasi criminalizzato il governo Berlusconi per avere esonerato la prima abitazione dall’Ici e il governo tecnico la ha reintrodotta, in modo più pesante, con il nome di Imu, senza tenere conto del fatto che la proprietà della casa è la forma prevalente di patrimonio delle famiglie italiane. Si dirà che era necessario effettuare una po­litica di rigore e quindi di questa tassazio­ne del piccolo patrimonio della piccola gente non si poteva fare a meno. Ma il pre­cedente governo era riuscito a fare mano­vre di rigore di dimensioni quattro

volte maggiori di quella del governo tec­nico, senza toccare la prima casa. Ed inol­tre il­coefficiente di rivalutazione delle ren­dite catastali impiegato per la base imponi­bile per le abitazioni prima casa è il più ele­vato, fra i coefficienti adottati per l’Imu.Ma era proprio la prima casa l’obbiettivo prin­cipale della nuova «Imposta patrimoniale diffusa» che è il vessillo dell’equità sociale del nuovo governo tecnico. E che grava di più sui piccoli patrimoni immobiliari che sul resto dei patrimoni. Il precedente go­verno ha cercato di alleviare le pene della crisi per le famiglie della classe lavoratrice in relazione all’emergere del rischio di di­soccupazione, utilizzando la cassa integra­zione ordinaria e straordinaria e la esten­sione di questa a categorie prima non pro­t­ette. Per una ragione per me incomprensi­bile è s­tata criminalizzata anche la cassa in­tegrazione e nel programma di questo go­verno, insieme alla tesi che bisognava tas­sare la prima casa, è stata posta anche quel­la di abrogare la cassa integrazione straor­dinaria, per adottare un nuovo modello di protezione sociale di tipo danese.

Ora questa tesi è stata bloccata,ma men­tre all’epoca del ministro del Lavoro Mau­rizio Sacconi si cercava di alleviare con la cassa integrazione il rischio della disoccu­pazione e di attuare la mobilità del lavoro con la contrattazione aziendale, in cui è possibi­le licenziare gli assentei­sti e contrattare con i sin­dacati le eventuali ridu­zioni graduali di manodo­pera, il nuovo indirizzo ra­zionalista consisterebbe invece nel buttare all’aria questa opera paziente di conciliazione delle esi­genze di produttività con quelle di tutela sociale dalla crisi, che colpisce so­prattutto i soggetti più deboli e svaluta le poche ricchezze dei molti, mentre salva o accresce quelle dei pochi. Il grado di irreal­tà con cui questo governo si muove rispet­to al fenomeno che la Banca d’Italia ha se­gnalato, è dimostrato da un piccolo esem­pio: quello delle licenze dei taxi.

Al rappresentante dei tassisti che si la­mentava della perdita di valore delle licen­ze che i tassisti hanno acquistato, con un mutuo, il sottosegretario del governo tecnico ha of­ferto la possibilità di ave­re un’altra licenza, gratis, per far lavorare un altro taxi con un dipendente. Ed è rimasto stupito per­ché il delegato dei tassisti ha rifiutato. Ma lo stupo­re è stato soprattutto del delegato e dei suoi rap­presentati. Negli ultimi tre anni, le persone che prendono il taxi sono mol­to diminuite, perché la crisi morde.

Il go­verno «tecnico» non si è reso conto che adesso l’offerta di taxi supera la domanda perché la classe media e minuta usa meno i taxi e quindi questa pseudo liberalizza­zione non serve.

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