Milano - Per due milioni di famiglie l’Ici (Imposta comunale sugli immobili) costerà in media ottanta euro in più. Colpa della Finanziaria, che ha «regalato» ai Comuni il controllo sul Catasto dal prossimo 1° novembre. E colpa dei Comuni che cercano così di fronteggiare i tagli ai fondi erogati dallo Stato attraverso l’introduzione della tassa di scopo, l’aumento delle addizionali Irpef (in alcuni casi raddoppiate) e appunto dell’Ici. Ecco perché, otto mesi prima di entrare ufficialmente in possesso del Catasto, le amministrazioni comunali hanno già iniziato a riorganizzare le tipologie immobiliari delle abitazioni, suddivise in undici categorie, da A/1 (case di lusso) ad A/11 (case tipiche dei luoghi, come i trulli) passando per A/3 (abitazione di tipo economico), A/7 (abitazione in villini) fino ad A/10 (gli uffici). In molti casi queste tipologie abitative sono ferme agli anni Trenta.
Dalla stangata, in teoria, saranno esenti le prime case, visto che alcuni Comuni hanno annunciato detrazioni per l’abitazione principale. L’amministrazione comunale di Napoli, per esempio, ha previsto un bonus di 155 euro per la prima casa, che azzererebbe un eventuale rincaro. Altri comuni come Milano pensano invece di abolire l’Ici sulle prime case.
L’inasprimento sull’Ici era stato annunciato dal Giornale qualche giorno dopo l’approvazione della Finanziaria alla Camera. La manovra da 35 miliardi di euro che avrebbe dovuto rilanciare l’economia e «dare di più a chi ha meno» sta invece mostrando i suoi effetti negativi sui bilanci delle famiglie a medio reddito. Tanto che ieri il Sole24Ore ha dedicato all’imposta comunale sugli immobili un’inchiesta nella quale emerge che la revisione del Catasto condotta dai Comuni porterà due milioni di immobili ad essere «promossi» a categorie abitative superiori. Per un gettito, destinato alle casse comunali, di 200 milioni di euro (179 milioni per l’Ici e 26 di Irpef).
Le tipologie abitative candidate alla promozione forzata sono soprattutto le abitazioni appartenenti alle categorie catastali ultrapopolare (A/5) e rurale (A/6). Il loro passaggio a un gruppo più pregiato (in genere A/4, ma in alcuni casi anche A/3) comporterà l’incremento della rendita catastale. E il conseguente aumento dell’Ici (in media circa 80 euro) e dell’Irpef (50 euro, solo per le seconde case), visto che la rendita catastale di fatto costituisce un reddito.
L’immobile A/6, secondo la definizione catastale, è un’abitazione «assegnata ai lavoratori stagionali nelle cascine e nei fondi agricoli, completamente priva di servizi igienici». L’A/5, invece, è quell’abitazione «comprendente uno o due locali non disimpegnati, con accesso da ballatoi esterni, dotati di luce elettrica e acqua potabile, con servizi igienici in comune, senza ascensore e riscaldamento centrale». La classica «casa di ringhiera» che a Milano è possibile trovare sui Navigli ma anche sul centralissimo Corso Magenta. Si tratta di abitazioni che, durante le varie ristrutturazioni nel corso degli anni, sono state dotate di bagno interno, e dunque di case per le quali è previsto il passaggio nella classe immediatamente superiore, ovvero la A/4. Il passaggio di categoria ad A/3, invece, comporta necessariamente la presenza di ascensori e riscaldamento centralizzato. Il salto di categoria da A/5 ad A/4 a Milano comporterà, secondo l’analisi del Sole24Ore un aggravio tra Irpef e Ici pari al 73%: l’attuale rendita di 186 euro si alzerebbe infatti a 325 euro, per una stangata tra Ici e Irpef calcolata in 67 euro. A Roma, invece, un’abitazione «a disposizione» (seconda casa, ndr) ex A/5 promossa ad A/4 porterà a un aumento di 147 euro tra Ici e Irpef, pari al 73%: dai 170 euro, secondo i calcoli del Sole24Ore, la nuova rendita passerebbe a 248 euro.
In effetti nelle grandi città è già partito il censimento delle abitazioni.
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