Gabriele Villa
Ventitré milioni di euro. Che ne dite, è una discreta somma, no? A maggior ragione se è stata buttata nella spazzatura. Ventitré milioni di euro persi per aspettare, inutilmente, che i bollori si raffreddassero e per scoprire ciò che già si sapeva, ovvero che non cè amianto nelle rocce dove dovrebbe passare la Tav, la linea ferroviaria ad alta velocità. Non amano distillare i conti alla Ltf, il consorzio italo-francese, Lyon-Turin Ferroviaire, che della Tav è il principale attore e promotore. Non si parla mai volentieri di quattrini persi. Eppure i conti di un cantiere chiuso per le persistenti minacce rivoluzionarie del popolo no-Tav della Val di Susa si fanno. Li abbiamo ricostruiti quasi al centesimo: un milione al mese il costo del fermo ad oggi, dall8 dicembre, quando il cantiere fu posto sotto sequestro dopo disordini e contestazioni varie.
Tredici milioni per retribuire il personale della Cmc, la Cooperativa muratori e cementieri, di Ravenna, che non è ancora stato praticamente impiegato e per onorare nel contempo i vari costi di appalto e di contratto, 7 milioni già spesi per inserire, nel nutrito parco di macchine e apparecchiature ad alta tecnologia, anche la «super-fresa», che arriverà ad ore appositamente dagli Stati Uniti. E che rischia, una volta assemblata, di rimanere anchessa inattiva. Totale: 23 milioni di euro che sono un settimo dellimpegno finanziario previsto dallItalia per la Tav e un quarto del valore del contratto firmato dalla Ltf e dalla Cmc. Ventitré milioni sui quali i dirigenti del consorzio preferiscono cavarsela con un no-comment. Lo stesso no-comment che oppongono ai primi risultati dei sondaggi fatti in Valsusa, in cerca damianto, e diffusi ufficialmente ieri dai tecnici dellArpa, lAgenzia regionale per la protezione dellambiente in Piemonte.
Secondo i guardiani della salute pubblica in Piemonte: «Non sono state trovate tracce di amianto e i valori di radioattività riscontrati non si discostano dalla media naturale. In ogni caso rientrano più che ampiamente entro i limiti di legge». Non ci pare che questa affermazione sia molto diversa dalla seguente: «Macché rischi per la salute, la protesta è solo ideologica. Abbiamo dati acquisiti nel corso degli anni che ci hanno permesso di tracciare una mappatura della superficie. Sappiamo che lamianto non si trova ovunque e in modo diffuso, ma si concentra nelle faglie nelle rotture, e noi sappiamo bene dove sono queste faglie». Era il primo dicembre del 2005 quando Vincenzo Coccolo, direttore generale dellArpa, anticipava al Giornale queste sue conclusioni. Lo diceva sommessamente, ma la sua voce fu schiacciata dalle urla del popolo no-Tav, capitanato dalleuroparlamentare Agnoletto e ambientalisti vari. Che anche ora non sono convinti.
A contestare lArpa è Roberto Della Seta, presidente di Legambiente. «Si tratta di un sondaggio scientifico o di uno spot?» si chiede polemicamente. «Vorremmo che della Torino-Lione si parlasse con maggiore onestà politica e scientifica, evitando luso propagandistico di dati tecnici non pertinenti. Un sondaggio realizzato per valutare le caratteristiche fisiche delle rocce non ha nulla a che vedere con la ricerca di amianto e uranio». Chi commenta è il ministro dellAmbiente Altero Matteoli: «Sono stati sospesi i lavori per chiarire che si poteva fare il tunnel. È anacronistico quello che è accaduto. Solo dieci chilometri di questo tunnel sono in territorio italiano; in Francia non cè una protesta, in Italia invece cè una protesta del tutto strumentale».
Per la cronaca i prelievi di roccia sono stati effettuati a Seghino di Mompantero, dove scoppiò la prima dura protesta. E lunico ritrovamento damianto riguarda un metro di roccia serpentinite, ossia - ricordano allArpa - quella dove «è possibile» la presenza del minerale, sui 452,30 metri interessati dalla perforazione.
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