
C’è una parentesi nella storia del giornalismo culturale in cui il linguaggio della televisione, la profondità del pensiero e la seduzione del cinema si sono agganciati, creando qualcosa che va oltre il documentario: è il 1965, e Sergio Zavoli intervista Federico Fellini. Il risultato è “Zoom su Fellini”, un racconto per immagini e parole, girato durante la lavorazione di "Giulietta degli spiriti", in cui il giornalista e il regista si confrontano non solo sull’arte, ma su ciò che essa rappresenta per la vita, per la società, per la libertà. È qui che Fellini pronuncia una delle sue frasi più emblematiche: “La realtà è una trappola, l’immaginazione è libertà. Sognare è una forma di resistenza”. Una sentenza che racchiude l'essenza palpitante della sua poetica e, al tempo stesso, il fulcro dell’incontro con Zavoli.
Il documentario non è dunque una semplice intervista, ma un viaggio lato passeggero nello spazio interiore del regista. Zavoli – raffinato interprete dell’inchiesta come forma narrativa – non impone, non giudica, ma allestisce le condizioni per far emergere la voce più autentica del suo interlocutore. Fellini, libero da formalità e convenzioni, si concede ad un dialogo profondo, dentro cui l’invenzione diventa verità e la finzione un atto conoscitivo. “Io non ho mai saputo raccontare la realtà per com’è. Quando ci provo, la sento subito falsa”, afferma. Per lui, il realismo è una forma di mistificazione, mentre il sogno, il simbolo e l’invenzione rappresentano la via per accedere a una realtà più intima e significativa.
A suo agio sulla sedia, Fellini conferma di essere un esploratore delle cavità interiori. Durante l’intervista racconta che ogni film è una specie di “autoterapia”, una necessità di raccontarsi attraverso personaggi che sono parti di lui. Ma è anche un gesto di liberazione collettiva: “Tutti noi abbiamo bisogno di sentirci raccontati, ma non in modo letterale. Abbiamo bisogno che qualcuno ci restituisca le nostre paure, i nostri desideri, in forma comprensibile, ma non ovvia.” Così, i suoi set diventano luoghi di passaggio tra il visibile e l’invisibile, e il cinema uno specchio deformante che, proprio per questo, riflette meglio.
Zavoli, con la sua voce calma e penetrante, lascia che le parole del maestro si dispieghino come una sceneggiatura. Gli domanda della sua infanzia, delle sue ossessioni, della religione, della politica. Fellini risponde come un narratore, mai come un intellettuale; evita i giudizi, preferisce le immagini, le analogie, i racconti. Ma ogni suo aneddoto è un frammento di pensiero sul mestiere dell’artista, sul ruolo della cultura, sulla crisi dell’immaginario. In una televisione che ancora credeva nella possibilità di educare e stupire, Zavoli dà voce a un artista che ha fatto del rifiuto del conformismo la sua missione.
Il titolo stesso del documentario, "Zoom su Fellini", è programmatico: lo zoom non è solo l’avvicinamento dell’obiettivo, ma la ricerca di una messa a fuoco sul volto, sulla voce, sul pensiero. Fellini non viene spiegato, viene avvicinato. E quello che si scopre non è un uomo egocentrico o distratto, come spesso è stato raccontato, ma un autore consapevole, pieno di inquietudini, innamorato dell’ambiguità e profondamente umano.
Il filmato si conclude senza retorica, con immagini del set e frammenti di dialogo che restano sospesi.
Come se Zavoli avesse voluto ricordare che non tutto si può comprendere, e che forse il compito del giornalismo culturale non è quello di spiegare l’artista, ma di creare le condizioni affinché il pubblico possa incontrarlo. Fellini, da parte sua, elargisce una lezione ancora attuale: nel tempo della cronaca ossessiva, dell’urgenza del reale, il vero gesto sovversivo è immaginare.
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