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I mille volti della dipendenza da internet e social network: dal cyberbullismo all'isolamento

Il professor Tonioni, responsabile del primo ambulatorio che si occupa patologie legate al web e ai social: "In rete gli istinti sono esacerbati e l'aggressività aumenta"

I mille volti della dipendenza da internet e social network: dal cyberbullismo all'isolamento

Basta prendere la metropolitana, salire su un autobus o frequentare un locale affollato, per rendersi conto di quanto il nostro sguardo si sia abbassato. Letteralmente. Siamo rapiti dai nostri smartphone. Sempre connessi, sempre impegnati, al punto di perdere il contatto con la realtà. E nel libero e ricco mondo di internet confluisce un’enorme mole di dati: ognuno sul web è in grado di trovare ciò che ama, odia, ciò che può innescare un meccanismo di dipendenza. Accade con la pornografia, col gioco d’azzardo e con i social network.

Eppure, professor Francesco Tonioni, docente dell’Università Cattolica di Roma e responsabile del primo ambulatorio che si occupa di dipendenza da internet e social network al policlinico Gemelli, autore del libro “Cyberbullismo, come aiutare le vittime ed i persecutori” (Mondadori), non basta solo isolare queste categorie?

Nel nostro centro abbiamo deciso di non dividere le dipendenze in categorie o in relazione a quante cose si possano fare su internet. Partendo dalla clinica dei nostri pazienti abbiamo notato che ci sono quadri diagnostici completamente diversi tra giovani ed adulti.

Quindi è l’anagrafe che fa la differenza?

Beh sì. La separazione è netta tra i nativi digitali, ovvero gli adolescenti che non hanno mai conosciuto un prima del computer, e gli adulti. In questi ultimi sono chiari i segnali della dipendenza patologica che si divide tra il gioco online e i siti pornografici. Infatti, con i pazienti che affrontano queste problematiche, lavoriamo sulla riduzione delle ore di connessione e su ciò che una dipendenza nasconde: un’angoscia molto più profonda che con la graduale riduzione di internet, comincia ad emergere.

E nei giovani?

Nei giovani e negli adolescenti le cose cambiano. L’uso disfunzionale di internet si configura come un nuovo modo di pensare e comunicare. Del resto, i ragazzi si relazionano con un mondo diverso rispetto ai non nativi digitali ed hanno una percezione particolare dello spazio e del tempo.

Questo cosa produce?

Determina i sintomi. Infatti, negli adolescenti, il segnale principale non è il numero di ore passato davanti al computer, ma il ritiro sociale che spesso porta alla decisione di abbandonare la scuola. Nelle nuove generazioni si avverte chiaramente un diverso modo di vivere, o non vivere, le emozioni.

Internet può essere un carnefice spietato. Basta aprire le pagine di cronaca di un quotidiano per leggere di “branchi” che deridono e perseguitano un ragazzo omosessuale, una ragazza sovrappeso o chiunque venga percepito come “diverso”. Ci sono vittime che non riuscendo a reagire scelgono il suicidio, come può un giovane arrivare ad un gesto così estremo?

Il web è uno strumento e come tale amplifica tutto: il fenomeno del bullismo diventa cyber aggravando le conseguenze, perché le relazioni virtuali sono molto diverse da quelle reali.

Cioè?

Le faccio un esempio: due ragazzi parlano tra loro su Skype, sono disinibiti, eppure, pur parlando di argomenti sensibili per entrambi, non riescono ad arrossire. Tutta la comunicazione non verbale che si esprime col corpo è filtrata, si annulla l’emozione che, nelle relazioni reali, passa sempre attraverso il corpo mandando un segnale (che sia il rossore del volto, una smorfia). Nell’online manca la relazione completa che invece si realizza nell’offline quando c’è il contatto fisico tra le persone.

Che conseguenze ha questo divario tra online ed offline?

Sul web gli istinti sono più esacerbati, l’aggressività aumenta. Il fenomeno del bullismo diventa cyber ed ha conseguenze più gravi. Questo perché gli adolescenti danno un enorme valore alla visibilità e all’esperienza della vergogna che per i più giovani è un vero e proprio crollo che fa venir fuori una personalità in grado di reggere un’aggressione oppure no. Il cyberbullismo, a differenza del bullismo reale, non mira solo ad aggredire o insultare l’altro, ma si configura come un atto persecutorio dato dalla percezione di non avere vie di fuga. E, proprio questa sensazione, è una delle caratteristiche del web e dei social network.

Un po’ come accade per lo stalking?

La dinamica è la stessa, cambiano i protagonisti. Il cyberbullismo riguarda i giovani e per far in modo che si realizzi la persecuzione sul web, il bullo ha bisogno di spettatori. Se, infatti, vent’anni fa si poteva cambiare classe, scuola, per non essere più presi in giro e derisi, ora la sensazione che i giovani hanno è quella di non avere via di scampo: di essere in un acquario dove tutti posso vederli (e, soprattutto, riconoscerli) e dove le brutte figure sono amplificate proprio perché tutti posso guardarti. Spesso sono proprio gli sguardi degli spettatori ad alimentare l’aggressività del bullo.

Come arrivano i ragazzi nel vostro centro?

I ragazzi che arrivano da noi sono quelli che hanno la fortuna di avere dei genitori che li ascoltano. Una vittima è tale ancor prima di incontrare il primo bullo. Infatti, il primo vero bullo è il genitore assente. Spesso con la famiglie si creano delle sintonie affettive non sane che portano il bambino e poi l’adolescente, a non confidarsi con i genitori, a non percepire quello spazio di confidenza. Accade che i figli si vergognino prima di tutto dei genitori.

Ma i genitori che si accorgono dei problemi di un figlio dipendente da internet sono gli stessi che da bambino lo mettevano davanti alla televisione o ad uno schermo interattivo?

Beh sì. Uno schermo digitale che sia quello della televisione, di un tablet o di un telefonino è la miglior “baby sitter” che possa esistere. Anche a livello economico. Ce li abbiamo messi noi genitori davanti al virtuale e ci ha fatto molto comodo.

Quindi la possibilità di sviluppare una dipendenza è in potenza in tutti i ragazzi?

Sì, è in tutti i ragazzi. Ma è comunque un bel salto e determinato da relazione affettive che non funzionano. Infatti, la maggior parte dei nostri pazienti hanno manifesti problemi affettivi in famiglia: genitori separati, estrema rigidità ecc…
Il tentativo di un adolescente che sta tante ore davanti al pc, è sempre quello di stare meglio, non certo di stare peggio. E le responsabilità sono prima di tutto dell’ambiente che hanno intorno. Perché internet, di per se, non è uno strumento che dà dipendenza.

Quando è nata l’idea di un centro che si occupasse di dipendenza da internet?

L’idea è nata nel 2009 e da allora abbiamo visto quasi mille pazienti, l’80% adolescenti. È stata la prima struttura aperta in un ospedale pubblico, quindi basta pagare il ticket. Ci sono anche dei gruppi di sostegno per i genitori, proprio perché il problema arriva spesso dall’ambiente in cui il ragazzo vive.

C’è qualcosa che l’ha colpita dei ragazzi che arrivano da voi?

Sì, una cosa che più mi ha colpito dei primi colloqui con questi ragazzi, è che non ti guardano negli occhi.

Hanno bisogno di uno schermo che non li faccia arrossire.

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