Big Tech e libertà

Whatsapp, paura per la privacy

Zuckerberg impone una policy poco chiara e scatena l'esodo da WhatsApp. Perché tutti scelgono Signal (tra luci e ombre)

Whatsapp, paura per la privacy

“Da oggi non mi trovi più su WhatsApp, passo a Signal”. In molti stanno ricevendo dai propri amici un messaggio del genere.

Cosa sta succedendo? Colpa delle nuove regole dell’app più famosa che, dal 2014, è stata comprata da Facebook. Regole che svelano quello che finora molti hanno solo sospettato: dal 16 maggio Zuckerberg potrà ufficialmente leggere anche le chat e utilizzare i dati raccolti per profilarci meglio. Poco importa che ufficialmente queste modifiche riguardino solo le conversazioni con le aziende (da qualche tempo WhatsApp ha una piattaforma a loro dedicata per comunicare con i propri clienti). La decisione di Facebook lascia gli utenti davanti a un bivio: accettare una policy poco chiara (e di esser in qualche modo “spiati”) o non usare proprio l’app.

Ecco quindi l’esodo verso nuovi lidi. E in particolare verso chi promette di non aver nessun accesso ai propri dati. Proprio come Signal. L’applicazione in realtà esiste dal 2014, ma finora ben pochi la conoscevano. La sua caratteristica? Non avere “Big Tech” dietro e garantire un livello massimo di tutela delle informazioni. Al punto che nel 2017 era persino consigliata allo staff del Senato Usa.

Si tratta di un progetto fondato da una organizzazione non profit, la Signal Technology Foundation. È open source, cioè in qualsiasi momento chiunque può leggere il codice che lo fa funzionare e controllare che non ci siano magagne. In più, almeno al momento, è totalmente gratuito. Come campa? Di donazioni libere da parte degli utenti. Un po’ come Wikipedia per intenderci. La mancanza di sponsor fa sì che non ci sia necessità di usare i dati degli iscritti come merce di scambio. Nessuna pubblicità, quindi, e nessun tipo di tracciamento. L’assoluta garanzia che le chat sono criptate (non c’è motivo di “spiarci”) e che il nostro smartphone non condivide nulla con l’organizzazione. Addirittura sui suoi server non finiscono neppure i numeri di telefono dei nostri contatti (vengono nascosti con un complesso sistema crittografico per permetterci di trovarli e poi cancellati). A differenza di WhatsApp, che sa sempre dove siamo, con quali contatti parliamo più spesso e conosce persino alcuni dati condivisi da app di salute o fitness.

Tutto perfetto? Più o meno. L’impossibilità per chiunque di intercettare conversazioni e informazioni non può non far temere usi illeciti da parte, ad esempio, dei gruppi terroristici.

E poi c’è la questione della platea. WhatsApp ha alle spalle diversi anni di chat. Quante chiacchierate, quante foto e video scambiati… e soprattutto quanti “amici” che magari per pigrizia sarà impossibile scardinare da quello che ormai è un luogo comodo.

Infine bisogna considerare l’aspetto tecnologico: Signal, app finora considerata per “nerd”, ha l’infrastruttura adatta a sostenere un tale flusso di utenti e dati? Difficile crederlo. E infatti già nei giorni scorsi i disservizi sono iniziati…

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