Politica

Teheran: trattiamo ma il nucleare non si ferma

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

«Multidimensionale». «Onnicomprensiva». Non mancano gli aggettivi sonanti per descrivere l’ennesima offerta dell’Iran per «risolvere pacificamente» la crisi in corso da quattro anni e provocata dai suoi progetti nucleari. L’ha presentata il capo dei negoziatori di Teheran, Alì Larijani, in un incontro con gli ambasciatori delle Sei Potenze convocati nella capitale iraniana. Si tratta di Francia, Germania, Inghilterra, Cina, Russia e Svizzera, quest’ultima in quanto cura formalmente gli interessi americani visto che gli Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche con l’Iran. La proposta, secondo il portavoce iraniano, contiene «tutte le risposte» alle richieste più volte avanzate dai Paesi occidentali e riassunte nel «pacchetto» approvato dall’Onu e contenente una «data ultimativa» per il suo accoglimento: il 31 agosto.
L’Iran, ha detto Larijani, è «pronto ad avere un ruolo costruttivo nelle aree della sicurezza internazionale, militare, tecnica e anche economica». Trasparente allusione alle tensioni e ai timori suscitati nel mondo dal prezzo elevatissimo raggiunto dal petrolio, per cause diverse, che però includono la tensione con l’Iran, uno dei quattro massimi esportatori di greggio. Ma il punto centrale è sempre il programma nucleare. Finora non c’è stato alcun accordo perché Teheran presenta come progetto pacifico volto alla crescita economica quello che gli Usa considerano un’iniziativa prevalentemente militare, destinata a fornire il regime teocratico di Teheran della bomba atomica.
Gli iraniani non lo negano interamente, ma riaffermano il loro diritto a farlo, anche se per ora, ripetono, non è in programma. Gli americani, ma anche molti altri Paesi, insistono che i due progetti non sono separabili, e che l’uranio arricchito che l’Iran vuole produrre per «uso pacifico» potrebbe essere in ogni momento trasferito a uso bellico. Il punto di disaccordo totale è dunque il processo di arricchimento dell’uranio, che l’Occidente vorrebbe vedere frenato se non bloccato. Ieri però il vice capo dell’Agenzia atomica di Teheran, Mohammed Saidi, ha detto chiaro e tondo che le ricerche sull’arricchimento dell’uranio proseguiranno.
La proposta di ieri può colmare le distanze? Gli interessati si riservano il giudizio. L’ambasciatore Usa all’Onu, il «superfalco» John Bolton, ha definito il documento iraniano «significativo», e ha promesso che il suo governo lo studierà attentamente: se la risposta di Teheran non soddisfa le richieste del gruppo dei sei Paesi, il Consiglio di sicurezza disporrà sanzioni economiche. Se invece gli iraniani hanno davvero scelto il cammino della cooperazione, allora è possibile una relazione differente con gli Stati Uniti e con il resto del mondo.
L’America, ha lasciato intendere Bolton, è pronta a chiedere presto al Consiglio di sicurezza di votare una risoluzione che promulghi sanzioni economiche contro l’Iran. Non è tuttavia certo che un testo troppo «duro» venga votato, visto che Russia e Cina sono importanti partner commerciali di Teheran. Su questo forse puntano gli iraniani: se si comincerà con sanzioni ridotte, Teheran se le potrà permettere, almeno finché i suoi forzieri sono colmi di petrodollari. A favore della tesi americana dovrebbero comunque votare, in sede di Consiglio di Sicurezza, la Gran Bretagna e la Francia. Uno dei motivi di irritazione di molti Paesi e delle Nazioni Unite è il rifiuto iraniano di lasciar entrare gli ispettori internazionali nel nuovo sito sotterraneo di Natanz, dove dovrebbe cominciare fra breve la produzione di uranio arricchito su scala industriale. A rincrudire la tensione è venuto anche l’inizio, sabato scorso, di una serie di test del missile terra-acqua Saeqeh («Tuono») nella provincia iraniana del Khuzestan, che confina con l’Irak. Più, naturalmente, la questione delle forniture di altri missili iraniani agli hezbollah in Libano.

Gli Stati Uniti, come è noto, non escludono l’opzione militare.

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