«Una telefonata con il premier mi scagiona»

Valter Lavitola non è proprio un «Bersaglio mobile», come suggerisce il titolo del programma di Enrico Mentana che lo mostra agli italiani. È seduto, immobile, sudato per i riflettori e per la tensione, bloccato a una scrivania su cui si rincorrono sentenze, verbali, intercettazioni. Il faccendiere è in diretta tv su La7 intervistato da Enrico Mentana e da quattro giornalisti capitatati da Marco Travaglio, la massima potenza di fuoco inquisitoria per inquadrare il tramite fra Silvio Berlusconi e Gianpaolo Tarantini.
Il ricercato numero 1 parla da una località imprecisata dell'America Latina, Mentana sostiene di non sapere dove si trovi benché il collegamento via satellite avvenga con Panama. Il latitante si nega ai giudici ma non alle telecamere. «Non sono l’uomo nero», ripete. E scagiona con convinzione se stesso e Silvio Berlusconi. Era stato messo all’indice per aver fornito una scheda telefonica straniera al premier: «Non ho fornito un’utenza peruviana ma una scheda italiana comprata da un peruviano. Temevo di essere intercettato non per i contenuti illegali della telefonata ma perché erano considerazioni riservate».
Ma soprattutto è sotto accusa per 500mila euro avuti da Berlusconi e destinati a Tarantini, di parte dei quali si sarebbe appropriato indebitamente. Sarebbero frutto di un ricatto ai danni di Berlusconi, secondo i pm. È un finanziamento per avviare un’attività imprenditoriale, ribatte Lavitola. «La mia difesa è elementare - dice l’ex direttore dell’Avanti! - sarebbe sufficiente leggere l’ordinanza del Riesame, non eravamo io e Tarantini a estorcere denaro a Berlusconi». La prova, secondo Lavitola, sarebbe contenuta in una telefonata non intercettata.
«Avevo in uso un’utenza argentina -rivela in diretta tv esibendo i tabulati - alla quale ho ricevuto una telefonata di Tarantini. Dopo 20 minuti chiamo Berlusconi per tre volte, l’ultima dura 9 minuti. Questa intercettazione mi scagionerebbe, se fosse stata registrata non ci sarebbe l’indagine. A Berlusconi ho detto: presidente, mi ha chiamato Tarantini, ha saputo di questi 500mila euro, cosa faccio, glieli metto a disposizione? Era una somma destinata ad aprire un’attività imprenditoriale all’estero. Ma di questa conversazione che mi scagiona non c’è traccia: perché? Sono certo che di qui a poco la giustizia dimostrerà che anche io non c’entro niente».
I quattro giornalisti-mastini gli rimproverano il passato da massone, la confidenza con il premier, la latitanza, l’uso di telefonini anti-intercettazione. «Da 25 anni faccio l’imprenditore in America centrale e meridionale e in Italia facevo il giornalista e l’editore dell’Avanti! Lavoravo nell’import-export di pesce pescato negli oceani. Sto dismettendo i pescherecci per il costo proibitivo del carburante, ho ricavato certe somme. Così ho detto al presidente: se ha necessità, posso metterle a disposizione una somma da girare a Tarantini».
La chiave della difesa di Lavitola è il pronunciamento del tribunale del Riesame, che ha cambiato l’impostazione dell’accusa: «Prima io, Tarantini e la moglie avremmo commesso una estorsione ai danni del presidente del Consiglio, mentre ora io e il premier avremmo costretto Tarantini a mentire. Tarantini - ha aggiunto - è stato un mese in carcere, la moglie ha dovuto lasciare la figlia di due anni. Adesso a loro hanno detto “scusa, non è successo nulla”. I Tarantini sono ragazzi viziati, sperperoni, senza senso della realtà. Erano pressanti in modo esasperato, le loro ossessioni erano tre: per prima cosa, vedere Berlusconi in più occasioni possibile; la seconda, fare in modo che un loro amico imprenditore potesse concretizzare un lavoro con una società collegata all’Eni; infine, avere soldi per le esigenze più disparate. Tarantini è uno scapestrato e anche un po’ fesso, ma non un criminale».
Mentana fa ascoltare l'unica telefonata intercettata in cui si sente la voce di Berlusconi: un premier stanco e annoiato, con un tono di sopportazione.

Spunta anche la sua affiliazione massonica, in parallelo con la P2 del premier. «Mi iscrissi a 18 anni alla loggia Aretè perché mi interessavano i Rosacroce. Sono stato apprendista per due anni a metà degli Anni 80. Berlusconi? Credo che il suo grado fosse zero».

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