La telefonata con Silvio e la lettura dei giornali: così Scajola si è arreso

RomaL’interminabile, ultima immagine di Claudio Scajola ministro della Repubblica è un viso dagli occhi leggermente dilatati su una raffica di flash in una luce gelida, nella sala della conferenza stampa al ministero dello Sviluppo economico. L’immagine più privata è l’uscita da quella stessa sala, spalle alle telecamere e ai flash, chiamato a grida da alcuni giornalisti: «Ministro, perché non risponde alle domande!». Gli occhi ora lucidi, increduli per quell’inclemenza, ma finalmente liberi dal controllo degli obbiettivi. Poi la salita senza voltarsi mai, lungo la scalinata dell’androne di via Veneto, seguito da una ventina di collaboratori, in un silenzio cadenzato solo dall’eco dei passi.
La decisione di lasciare è stata presa, come spesso capita, «tra la sera e la mattina». In uno spazio di solitudine che, a detta di molti, alla fine non è stato influenzato da nessuno. Nessuno, almeno, dei cosiddetti fedelissimi. Che poi non erano tanti, perché il ministro che si è dimesso due volte - la prima, da titolare dell’Interno, nel 2002, la seconda, ieri mattina, al termine di una settimana di indiscrezioni giudiziarie - era molto temuto, molto apprezzato. Ma non amato. Questioni di rivalità politiche, ma anche caratteriali: «Si atteggiava a Napoleone», diceva un deputato ieri alla Camera, non per infierire, ma per raccontare una parte dell’uomo, prima che quattro volte ministro, Claudio Scajola.
Rientrato a tarda notte dalla Turchia, accompagnato una dura nota di smentita alle voci che circolavano già dalla mattina sulle sue dimissioni: fino alla sera precedente l’impressione era quella di un leone tornato per battersi. Ma qualcosa di quella grinta si è spezzato nell’arco del tempo vuoto, la notte, l’angolo non pubblico. Dalla lettura dei giornali la mattina, con una chiara presa di distanza da parte di tutti, sarebbe arrivata la convinzione definitiva: lasciare, per la seconda volta, e dunque in modo clamoroso.
Ora non per una battuta sgradevole, come avvenne nel 2002 quando l’allora ministro dell’Interno, a Cipro, davanti ai giornalisti, parlò di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate rosse, con una disinvoltura infelice. Adesso c’è una storia opaca di cui anche ieri Scajola ha dichiarato di considerarsi vittima. Assegni in nero consegnati da altri per l’acquisto della sua grande casa a Roma. Per un’accidentale coincidenza di orari, poco dopo le sue dimissioni, dalla procura di Perugia è arrivata la conferma che Claudio Scajola non risulta indagato.
Ma tenere il posto, rimanere sulla poltrona, avrebbe creato un danno per il governo dalle conseguenze imprevedibili. È questa, forse, la prima ragione della rinuncia, il contenuto delle parole, dette o non dette ma lasciate intendere, del colloquio telefonico avvenuto già lunedì tra Scajola e Silvio Berlusconi. E poi ci sono i motivi più intimi, familiari: evitare di sottoporre le persone vicine a uno stillicidio mediatico che si faceva ogni giorno più intollerabile.
L’assedio, ieri mattina, è iniziato appena uscito di casa, la casa di via del Fagutale. Un giornalista ha tentato di intrufolarsi nella sua auto blu. «Un giornalista di Annozero», raccontano i collaboratori.
I figli lo hanno accompagnato al ministero. Lucia e Piercarlo: hanno assistito alla conferenza stampa. Le 11.30, il momento più difficile. Ogni millimetro del viso esposto alle telecamere. Il discorso pubblico deve essere stato ragionato per non poco tempo: Scajola ha parlato leggendo due fogli di appunti battuti a computer.
Poi ha pranzato nella sua stanza, senza uscire mai, rispondendo a decine di telefonate. Chi ha lavorato al suo fianco in questi due anni racconta di averlo visto stranamente «sollevato», come liberato da un peso. Ha chiamato personalmente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per comunicargli le sue dimissioni. Intorno alle 4 del pomeriggio ha lasciato il ministero diretto a palazzo Chigi. Ha aspettato mezz’ora per parlare con il premier, poi il faccia a faccia, con la consegna formale della rinuncia.
Proprio in una delle frasi scritte e lette ieri sembra essere contenuta una parte della verità di quest’uscita di scena: al di là della «sofferenza», c’è la granitica consapevolezza che la politica toglie ma dà tanto. Scajola è caduto e si è rialzato troppe volte per non sperare, anche stavolta, di non sparire.
Figlio di un politico, sindaco di Imperia per la Dc, nel ’83 si dovette dimettere per l’accusa di concussione aggravata. Settanta giorni a San Vittore, poi l’assoluzione. Quindi l’avventura di Forza Italia, ministro nel 2001, le dimissioni.

Il buio e ancora in vetta: nel governo di nuovo nel 2003 e nel 2005. Infine ministro di peso in questa legislatura, con l’obiettivo di costruire le prime centrali nucleari. Il suo futuro, per ora, potrebbe andare in qualsiasi direzione.

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