Forse non tutti sanno che alla giunta per le autorizzazioni a procedere pende una richiesta di utilizzazione di intercettazioni telefoniche che riguarda un parlamentare che non sarà Berlusconi ma il cui caso merita, paradossalmente, ancor più attenzione. Non tanto per il tono e il contenuto (assolutamente irrilevante rispetto ai reati contestati) delle conversazioni registrate dalla Dda di Napoli impegnata nell’inchiesta Eco4 sui rifiuti, quanto perché indicativo di un certo modo di fare giustizia con l’occhio rivolto all’appartenenza politica dell’indagato. Nel caso specifico l’inquisito intercettato è Mario Landolfi, già ministro delle Comunicazioni nel Berlusconi ter, due volte presidente della Vigilanza Rai, trascorsi importanti in An.
Il deputato Pdl è sotto inchiesta dal lontano 2007 con l’accusa di concorso in corruzione, truffa aggravata con l’aggravante mafiosa (per aver agevolato il clan La Torre di Mondragone) e favoreggiamento. Cosa avrebbe combinato il Nostro? Secondo l’accusa, in concorso con altri, avrebbe concorso a determinare le dimissioni di un consigliere comunale, Massimo Romano, predestinato di lì a 20 giorni - come tutti i suoi colleghi - a lasciare lo scranno per lo scioglimento naturale del consiglio comunale. Eletto con la maggioranza di centrodestra, poi all’opposizione con la Lista Dini, Romano si sarebbe venduto in cambio dell’assunzione a termine (appena quattro mesi) della moglie nella società Eco4. Tutto qua.
Prove della corruzione? Nessuna. A leggere le carte dell’inchiesta c’è da restare allibiti. Landolfi viene «attenzionato» non per aver commesso attività illecite, non perché chiamato in causa da pentiti o testimoni, nemmeno per le intercettazioni telefoniche (che risalgono a due anni prima del presunto reato) all’attenzione della Giunta della Camera. Finisce sotto osservazione per mera appartenenza politica ai soggetti politici «attenzionati». Una specie di non poteva non sapere, relativo alla necessità del sindaco di Mondragone di avere dalla sua quel consigliere comunale. Per farla breve, un atto di «discrezionalità politica», peraltro ininfluente ai fini della tenuta di quel Comune, è diventato una mannaia sulla vita e sulla carriera politica di Landolfi.
Lo dimostrano le intercettazioni depositate a Montecitorio su cui si discuterà il 23 febbraio prossimo: appena sette intercorse fra Landolfi e Giuseppe Valente, all’epoca incensurato, coordinatore del collegio di Forza Italia e presidente del consorzio Ce4, e una con il consigliere comunale Massimo Romano. Quest’ultima, decisiva per l’inchiesta, non avviene prima delle dimissioni, ma solo a dimissioni già avvenute. E dal tono si capisce che i due, presunti sodali stretti da un patto d’acciaio a fini occupazionali, nemmeno si conoscono. E che dire poi della vicinanza di Landolfi al clan La Torre. Nella telefonata del 20 luglio 2002 il deputato e Valente discutono dei tentativi, ossessivi, della sinistra - con la compiacenza della prefettura e dell’esponente della sinistra Lorenzo Diana (che fra il ’79 e l’80 fu assessore a San Cipriano d’Aversa accanto a Ernesto Bardellino fratello del superboss Antonio, capo della Nuova Famiglia) e a Franco Diana (alias «Francuccio ‘o boxer», affiliato, ammazzato in carcere) di provare a sciogliere il consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Il discorso scivola su una retata anticamorra. Valente: «C’è stata una miriade di arresti che hanno fatto a Mondragone». Landolfi (quello che sarebbe colluso, ndr): «Ah sì, e chi hanno arrestato?». V: «Tutti quelli che stavano fuori, tutti quanti». L. (sempre quello che i pm considerano colluso, ndr): «Ah sì, ottimo!!!!». V: «Sì, sì, quindi Mondragone è diventato...finalmente... un paese denuclearizzato!».
L: «Oddio, sempre un paese a rischio è... molto a rischio... però sono colpi buoni, sempre un colpo (i clan, ndr) lo hanno avuto. Hanno fatto piazza pulita!». Colluso con la camorra e nemico dei clan, due al prezzo di uno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.