Il televoto degli imprenditori: "Nel 2012 il Pil non crescerà"

A Cernobbio il sondaggio tra gli industriali: il 14% giudica sotto la media l’andamento della propria società. Solamente due su 100 vorrebbero più flessibilità sui licenziamenti

Quella del televoto non è una novità ai seminari lariani dello studio Ambrosetti. Dalla platea i circa 200 tra imprenditori e rappresentanti del mondo finanziario votano in tempo reale su una serie di quesiti posti dagli organizzatori. Lo chiamano proprio «televoto», come al Grande fratello o a Sanremo. E colpisce un seriosissimo ex ministro economico quale è Paolo Savona sollecitare gli industriali a premere il bottone, come Gianni Morandi. Ma da quei pulsanti esce l’umore della forza produttiva italiana, l’aspettativa sul futuro, la fiducia sulle possibilità di ripresa.

La fotografia che esce dalle sale dell’hotel Villa d’Este ha tinte fosche. Non sono gli scenari internazionali quelli che preoccupano maggiormente. In giro per il mondo ci sono vari Paesi che approfittano della crisi globale per crescere. I nostri imprenditori lo sanno: il 60% non si aspetta un’ulteriore recessione mondiale, vede nero soltanto il 33%, e per l’80% Brasile, India, Cina e Russia sono opportunità di crescita. Non sono negative nemmeno le aspettative individuali, quelle che riguardano la propria azienda. Rispetto al loro settore produttivo, soltanto il 14 per cento degli imprenditori di Cernobbio giudica sotto la media l’andamento della propria società. Per il 28 per cento è in linea, per il 42 sopra la media e per il 14 addirittura «molto sopra la media». Il 44 per cento prevede di chiudere il 2012 con un fatturato in crescita e il 35 con un giro d’affari stabile.

La musica cambia quando si parla di occupazione. Gli organici aumenteranno soltanto nel 23 per cento delle aziende; il 40 per cento sarà costretto a licenziare ancora, in alcuni casi pesantemente. Investimenti: il 70 per cento degli industriali non potrà potenziare i propri programmi di sviluppo. Le previsioni più fosche riguardano però l’Italia nel suo complesso. Il 60 per cento del televoto imprenditorial-finanziario ritiene infatti che il prodotto interno lordo nel 2012 sarà negativo.

La timida fiducia nelle proprie capacità si trasforma in un abisso di sconforto quando si considera la penisola nel suo complesso. Il 34 per cento giudica attendibile una crescita minuscola, che toccherà al massimo l’1 per cento. Soltanto qualche mosca bianca vede rosa all’orizzonte; appena l’1,2 per cento si spinge a ipotizzare una crescita del Pil oltre il 2 per cento. Eppure per il ministro Corrado Passera la ripartenza dei lavori per le grandi opere è in grado di generare quattro punti di Pil. Sul lago di Como non echeggiano le statistiche diffuse dagli artigiani di Mestre secondo le quali nel 2011 si è toccato il record di fallimenti, con oltre 11.500 aziende costrette a chiudere i battenti.

Tra le «priorità realistiche» che Cernobbio consegna al governo ci sono due richieste stimate in egual misura (34 per cento): ridurre il carico fiscale e ridurre la spesa pubblica. Sono due interventi che l’esecutivo Monti ha accuratamente evitato, visto che le tasse sono state drasticamente inasprite e i tagli, per ora, hanno riguardato soltanto le pensioni. E la più importante leva da attivare per ridurre il rapporto debito/Pil è la riduzione delle spese della politica e della burocrazia pubblica. Tutto il resto (infrastrutture, liberalizzazioni, pensioni, articolo 18, investimento in istruzione, lotta all’evasione) è nettamente secondario.

Colpisce che soltanto il 2,4 per cento ritenga prioritario favorire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro: nemmeno gli imprenditori e i finanzieri ritengono decisiva questa battaglia che da settimane, come un’ultima frontiera, impegna il governo e le parti sociali.

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