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Il tenore silurato se ne va subito: «Sono ferito»

MilanoChissà se è una piccola vendetta. Il tenore silurato, il caliente Giuseppe Filianoti, si è gustato il freddo primo atto del «Don Carlo» accanto alla fidanzata di Stuart Neill, il corpulento americano che l'ha spodestato dal palco. E forse, anche se non lo ammetterebbe mai, gli hanno fatto piacere i buuu e i fischi al maestro Daniele Gatti. «Avevano paura dei fischi. C'è stata una mancanza di rispetto per l'artista, sono stato tradito, pugnalato. Ma non porto rancore. Sono sereno perché ho la coscienza a posto» si sfoga con amarezza Filianoti durante l'intervallo.
Alla prima è più tranquillo che alla vigilia, ma non ha archiviato i pensieri esternati il giorno prima: «Marcelo Alvarez, Roberto Alagna e io. Se i tenori più richiesti prendono il largo dalla Scala, qualche ragione ci sarà...». Si sente più vittima di Alagna, che ha lasciato il palco dopo le rumorose proteste dei temutissimi loggionisti del Piermarini: «Il nostro caso è diverso, lui almeno l'avevano lasciato cantare». Era stato Alagna, poi, a mollare la recita, costringendo il sostituto a entrare in scena in jeans. Colpi di teatro.
Molto rumore per nulla secondo il sovrintendente, Stéphane Lissner: «Sono polemiche che si scatenano solo in Italia. Le prove servono apposta, per consentire al direttore musicale di decidere». E poiché è andata male l'anteprima, è saltata la testa di Filianoti, almeno per Sant'Ambrogio. Conferma il vicepresidente della Scala, Bruno Ermolli: «Una decisione presa di comune accordo tra il sovrintendente e il direttore d'orchestra, Daniele Gatti».
Spiegatelo a Filianoti che è tutto normale. «L'ho presa malissimo, mi sento molto ferito come è normale per un cantante che ha appreso all'ultimo momento di non poter entrare in scena». Ma fa il gentiluomo, ostenta serenità e aplomb: «In bocca al lupo a Stuart Neill. È un caro ragazzo». Poi aggiunge sibillino: «Auguro alla Scala e alla cultura italiana il bene che meritano». No comment sul sovrintendente, Stéphane Lissner («preferisco non dire niente»), anche perché non crede di essere fuori gioco: «Ho ancora un contratto per sette recite. Non ho avuto risposte da parte del sovrintendente e non posso confermare se canterò nelle repliche».
Si è presentato puntualissimo, anche se era stato congedato e per la Scala aveva rinunciato a una Lucrezia Borgia con Placido Domingo a Washington: «La Scala ha rovinato la mia immagine, pensando di disporre di un artista a suo piacimento. Niente avvocato, sono cose lunghe e inutili. Hanno fatto una cosa subdola, dicono di aver deciso all'ultimo minuto ma mi hanno riferito di telefonate e audizioni con altri artisti. Dicono che nemmeno il secondo tenore è idoneo. Ma allora perché non tenere il primo?».
Le voci scaligere raccontano che la prima scelta era caduta su Marcelo Alvarez, «l'uomo giusto per il ruolo giusto», ma le trattative si sono arenate pare per incomprensioni con Daniel Barenboim. Ed ecco Filianoti, con le «phisique du rôle» adatto alle riprese tv, ma senza la voce giusta, secondo la direzione artistica della Scala che però ha atteso fino all’ultimo, fino alla vigilia per congedarlo bruscamente. Il programma di sala del 7 dicembre ha un'altra sostituzione decretata da una cancellatura a penna: Anatolij Kotscherga è il Grande Inquisitore al posto di Matti Salminen. Un divenire continuo.
Don Carlo è un ruolo accidentato.

Sedici anni fa, nel 1992, ultima volta dell'opera di Verdi alla Scala, costò fischi e contestazioni a Pavarotti. L'anno successivo «Big Luciano» avrebbe dovuto cantare in «Pagliacci». Presentò certificato medico. Brutta bestia, astuta e vorace, il loggione della Scala.

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