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Tensione alle stelle per la partita della pace

SFIDA I nazionalisti più accesi hanno tentato di rovinare con proteste e provocazioni il vertice allo stadio tra i due presidenti

A solo quattro giorni dalla firma dello storico accordo tra Turchia e Armenia per la riapertura delle relazioni diplomatiche, una partita di calcio tra le nazionali dei due Paesi sembrava essere l’occasione ideale per confermare i buoni rapporti faticosamente recuperati. Ieri sera allo stadio di Bursa, antica capitale dell’impero ottomano ed epicentro di un nazionalismo turco ancora vivo e talora aggressivo, si è dunque giocata tra Turchia e Armenia (divise dal genocidio perpetrato ai danni degli armeni nel 1915) una partita ben più importante per la politica che per le prospettive in chiave mondiale delle due squadre nazionali, ormai da tempo naufragate.
Il premier turco Recep Tayyip Erdogan aveva fatto capire per tempo che non avrebbe tollerato imboscate da parte di estremisti travestiti da tifosi: «Il presidente armeno e la nazionale armena vedranno cos’è l’ospitalità turca. Credo che il nostro Paese e i cittadini di Bursa non piegheranno la testa alla politica e agli obiettivi di quanti vogliono usare la partita per raggiungere qualcos’altro».
Il rischio che la partita della pace si trasformasse in un palcoscenico per estremisti ostili alla pacificazione con l’Armenia in effetti era reale. Non solo Bursa è la città più nazionalista della Turchia (e i nazionalisti turchi odiano gli armeni con tutta l’anima) ma ospita anche una folta comunità originaria dell’Azerbaigian, Paese musulmano e in maggioranza turcofono con cui la cristiana Armenia ha un contenzioso territoriale aperto. Erdogan è corso ai ripari e ha vietato la vendita di biglietti per la partita agli azeri di Bursa, mentre le autorità cittadine hanno convocato i capi della più accesa tifoseria locale (i «Teksas») intimando loro non solo di non esporre allo stadio striscioni provocatori, ma perfino di non portare con sé pennarelli con cui tracciare sui muri slogan offensivi.
L’invito è stato però respinto dai più facinorosi: ieri su internet circolavano esortazioni ai tifosi a sfidare i divieti e a sventolare sugli spalti bandiere dell’Azerbaigian. All’inizio del match l’inno armeno è stato sonoramente fischiato. Una provocazione pesante diretta non solo contro Erdogan che vuole dimostrare al mondo che la Turchia vuole e può svolgere un ruolo attivo per la pace nella regione, ma anche contro il presidente armeno Serzh Sargsyan, primo capo del suo Stato a mettere piede in Turchia, proprio per la “partita della pace”.
E mentre la polizia turca aveva il suo daffare a Bursa per tenere a bada i guastafeste da stadio, il presidente turco Abdullah Gül accoglieva il collega armeno con una forte stretta di mano e una promessa: «Non stiamo solo scrivendo la Storia, la stiamo facendo».

Teksas permettendo.

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