da Roma
Ventisette leggi, ventotto anni, fondi equivalenti a tre finanziarie, a due punti di prodotto interno lordo: dal 1980 a oggi lo Stato ha stanziato per il terremoto dell’Irpinia 32 miliardi e 363 milioni di euro. Una cifra che si fa fatica a convertire nelle vecchie lire (più o meno 60mila miliardi). Supera l’intero debito estero della Bulgaria, corrisponde al sestuplo dell’Alta velocità ferroviaria Bologna-Firenze, consentirebbe di costruire 30 aeroporti di Malpensa.
Eppure è certificata dal «supervisore» dei bilanci pubblici, la Corte dei conti, che ha appena compilato quattro pagine di tabelle per spiegare quando e come lo Stato ha versato soldi per quel sisma, più altre venti, nella relazione pubblicata il 25 luglio sulla «gestione dei fondi del terremoto dell'Irpinia e della Basilicata», per chiedersi perché si è speso tanto per una tragedia che ha portato morti in 2mila famiglie ma da cui è partita una ricostruzione inspiegabilmente lenta e costosissima.
«Dopo oltre 27 anni dal sisma che ha colpito alcune regioni meridionali - scrivono i giudici contabili nella relazione - continuano ad essere finanziati con nuovi stanziamenti gli interventi di ricostruzione».
I 32 miliardi di euro sono riferiti ai soli contributi statali: ne sono esclusi i quasi trentennali stanziamenti regionali di Campania e Basilicata.
Gli ultimi soldi, 157 milioni 500mila euro, sono arrivati con la Finanziaria 2007 del governo Prodi, che ha previsto un ulteriore «contributo quindicinale». Ma lo stanziamento, scrive la Corte, «è rimasto del tutto inutilizzato nel corso dell’anno non essendo stato emanato il previsto decreto del presidente del Consiglio, che doveva fissare puntuali criteri e modalità di distribuzione delle risorse tra i Comuni dell’Irpinia e della Basilicata». In pratica si è stanziato denaro fino al 2022, ma per la burocrazia italiana fatta di decreti attuativi senza i quali nulla si può spendere, nemmeno con una legge finanziaria, i 157 milioni di euro sono rimasti fermi.
Soldi che poi non sarebbe facile distribuire, dal momento che «ha subito ritardi la definitiva fissazione del fabbisogno di ciascuna amministrazione». Una «serie di complicazioni» sorte «in sede decentrata» che hanno plasmato la triste storia della ricostruzione dell’Irpinia, non solo quella più recente. Finalmente, il 13 giugno del 2008, è stato il nuovo governo a mettere la firma che consente di spendere i fondi bloccati «per la distribuzione delle risorse».
Come se non bastasse, la Corte dei conti si è ritrovata in mano una serie infinita di contenziosi «presso le diverse amministrazioni e organi subentrati», ancora non quantificabili in costi «per la carenza di un completo e aggiornato monitoraggio». Il fatto anzi che lo Stato, pur continuando a pagare, abbia ridotto gli stanziamenti per l’Irpinia negli ultimi anni, rischia di ritardare i pagamenti dei contenziosi e di «far lievitare i relativi oneri per gli interessi di mora da parte dei creditori». Una spesa di cui non si intravede il limite, che anche fosse ancora ridotta, creerebbe solo altre spese per lo Stato per cause vecchissime da saldare. Un buco nero del bilancio pubblico: un conto giudiziario, ammette la Corte dei conti, che «al momento non è nemmeno presumibilmente quantificabile...». E che potrebbe portare sorprese in negativo oltre al saldo certificato del costo generale.
«Nidi di vespe sfondati», aveva definito Alberto Moravia le case distrutte dal terremoto del 23 novembre del 1980 in Campania e Basilicata. Scossa del settimo grado della Scala Richter, duecentottantamila sfollati, 2914 morti, un numero di Comuni da aiutare che nel corso degli anni è salito a quota 679, classificati in «disastrati», come Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi e Conza della Campania, «gravemente danneggiati» e «danneggiati». Stato commissariale per gestire la situazione, primo stanziamento, corrispondente agli attuali 3 miliardi e 700 milioni di euro, con la legge 219 dell’81.
Poi altri 26 provvedimenti (due nell’83, uno nell’84, uno nell’86, e via così fino al 2007), tra finanziarie e decreti legge, per nuovi fondi a volte tolti nelle manovre correttive ma poi reinseriti per un totale che supera i 32 miliardi di euro.
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