Terrore, gli zombi assediano Londra

«28 settimane dopo»: più fantascienza che horror con un finale ambiguo

Nelle guerre neocoloniali a fare morti britannici è per lo più il fuoco amico, cioè americano; dunque molti processi sono stati e sono in corso nel Regno Unito per il risarcimento dei danni alle famiglie. L'antefatto spiega 28 settimane dopo di Juan Carlos Fresnadillo più che il film segua 28 giorni dopo di Danny Boyle (2003), qui solo di produttore esecutivo. La scontata vicenda del morbo che rende zombi i britannici veicola la metafora della ri-occupazione del Regno Unito da parte degli americani. Nella realtà è già accaduto fra 1942 e 1945, ma ora, nel film, gli invasori sono molti di meno, perché Londra è ridotta a poche migliaia di abitanti. Ma un occupante così sparuto ha solo un modo d'imporsi: il terrore. Così ogni inglese, visto come un contagiato, è un bersaglio! I devoti dell'orrore diranno che lo zombi è riconoscibilissimo a distanza: cammina lentamente, ciondolando, raccattando qualche arto che si stacca per decomposizione. Non più. Gli ultimi zombi sono rapidi e robusti: fra loro ci sono portatori sani, i più pericolosi. Tale si rivela la madre (Catherine McCormack) di due ragazzini che si avventurano, nonostante i divieti, nella parte abbandonata di Londra. Sarà lei, lasciata in pasto agli zombi dal padre (Robert Carlyle), eppure sopravvissuta, a contagiare il vile; e sarà lui a contagiare il figlioletto, che, portatore sano a sua volta, farà il resto. Il finale, ambiguo, permette due interpretazioni: «Ammazzamoli tutti», così il film è vendibile per i drive-in del mercato statunitense ; o «inglesi, cavallo di Troia dell'Europa».

E questa pare l'idea di Boyle. Ma che lui abbia potuto girare un film così amaro lascia sperare. Non solo sparare.

28 SETTIMANE DOPO di Juan Carlos Fresnadillo (Gran Bretagna/Usa, 2007), con Robert Carlyle, Catherine McCormack. 97 minuti

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