Un thriller per scoprire tutti i segreti di Dickens

Come si conobbero e divennero amici e persino parenti, Wilkie Collins e Charles Dickens? Perché Gilberth K. Chesterton potè sostenere che entrambi «furono scrittori insuperabili nello scrivere storie di fantasmi»? Quali strani incontri fecero quei due maestri indiscussi della letteratura inglese che segnarono per sempre il loro immaginario? Quali atroci realtà si celano dentro romanzi immortali come La pietra di Luna, La donna in bianco, Casa desolata e Il mistero di Edwin Drood? A questi inquietanti interrogativi dà adito Drood (Elliot, pagg. 512, euro 19,50), il nuovo romanzo di Dan Simmons (autore della fortunata saga fantascientifica dei «Canti di Hyperion» e di piccoli cult horror come L’estate della paura e Danza macabra.
Lo scrittore statunitense è abile nell’intrecciare i percorsi del poliziesco, del dramma letterario, del romanzo storico e di quello gotico. Un libro che ha entusiasmato Stephen King e Guillermo Del Toro. Il maestro del brivido sostiene che Simmons ha costruito un’opera originalissima in cui «gli ultimi anni di Charles Dickens vengono raccontati in modo impareggiabile da un narratore d’eccezione, Wilkie Collins, pagina dopo pagina più instabile e sinistro». Mentre il regista messicano, che si è aggiudicato il prossimo adattamento cinematografico di Drood, ribadisce che si tratta di «un viaggio mozzafiato e affascinante attraverso un labirinto pieno di enigmi e misteri che al suo centro nasconde un mistero più grande: quello del Genio e dei suoi abissi».
Nel libro seguiamo le peripezie dei due scrittori la cui vita viene sconvolta dall’incontro con un personaggio misterioso: mister Edwin Drood. Fantasma o uomo reale, genio del male, leader di una setta o pura illusione? Fino alle ultime pagine i lettori non riescono ad avere una risposta. A generare gli incubi e le peripezie che vivranno i due eroi è un terribile incidente ferroviario al quale Dickens e la giovane amante sopravvivono miracolosamente nel 1865 a Staplehurst. E, come racconta l’amico Wilkie Collins, narratore in prima persona delle vicende, da allora in Dickens nacque una strana mania per «omicidi, morti, cadaveri, cripte, ipnosi, oppio, fantasmi nonché per le strade e i vicoli delle atrabiliari viscere di Londra».
I lettori fin dalle prime pagine si chiedono se sia mai possibile che Dickens, preda della follia e della paura, abbia davvero «ucciso un innocente e ne abbia poi dissolto il corpo in una pozza di calce viva, seppellendo quel poco che ne restava, ossa e teschio e nient’altro nella cripta di quell’antica cattedrale che ebbe un ruolo tanto importante nella sua infanzia...». D’altra parte, anche Collins confessa d’essersi trasformato a causa degli eventi subiti dall’amico: infatti alle inquietudini causategli dagli insuccessi iniziali delle sue opere si aggiungono strane visioni. Da tempo minato da una grave forma di gotta, assume laudano e frequenta le oppierie di Londra (fatti, questi, tutti documentati dai suoi biografi). E mentre gli è sempre più difficile distinguere fra incubo e realtà, Collins deve inseguire l’amico Dickens fra postriboli e luoghi di riunione di sette segrete dove assiste a fenomeni di mesmerismo e rituali esoterici.
Drood non è il primo romanzo che tenta di dare una spiegazione alla genesi dell’incompiuta opera di Dickens I misteri di Edwin Drood (ci avevano provato in passato con successo anche Fruttero e Lucentini con La verità sul caso D e Matthew Pearl con Il ladro di libri incompiuti), ma la fiction di Simmons è originale nello sviluppo e negli incroci della storia e ci fa persino sospettare che non tutto fosse limpido, nei rapporti fra Collins e Dickens. «Gli americani - ci disse tempo fa Pearl - furono (e lo sono ancora a tutt’oggi) incredibilmente affascinanti dalle opere di Dickens, soprattutto dal finale del Mistero di Edwin Drood.

C’era la curiosità di sapere come il romanzo sarebbe andato a finire e ci furono anche molti tentativi di scoprire se il finale non fosse stato nascosto da qualche parte, in un manoscritto lasciato dall’autore, oppure criptato all’interno del testo stesso». E se a nascondere per sempre ai lettori il finale del libro fosse stato proprio Wilkie Collins, desideroso di far sparire ogni traccia di un orribile delitto compiuto dal suo amico Dickens?

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