E che adesso, per favore, nessuno si stupisca del fatto che per difendere Berlusconi dalle donne si siano messe l’elmetto delle donne. Non c’è nulla che ferisca di più una femmina, quanto «certe» femmine. E il fatto che non sia evidente la differenza. Se hanno taciuto fin qui, è solo perché arrivano più tardi le parole giuste. Ma poi arrivano. Non è mai un caso quando una donna arriva ad attaccarne un’altra. E non è mai un caso quando una donna sceglie di tacere anziché difenderne un’altra. Chi parla troppo cerca di nascondere qualcosa. Chi tace in modo coerente è invece convinto di qualcosa. Quindi nessuno si indigni delle varie Santanchè, Gelmini, Carfagna, Brambilla e da ieri perfino la severa Letizia Moratti che sono scese in campo in difesa del Cavaliere contro quell’esercito di giovani donne dagli abiti dozzinali e dalla lucida disciplina.
Nessuno si scandalizzi del fatto che «proprio loro, delle donne» si siano messe a rimettere ordine in quello che in tante telefonate intercettate e pubblicate è stato definito «un puttanaio». Se «puttanaio» c’è stato, c’è stato anche grazie a un manipolo di belle ragazze con dentro una brutta febbre. Essere donne è tutt’altro che una condizione generale a tutte le donne. Ci sono talmente tante sfumature, tra un esemplare e un altro, che gli uomini neppure se le immaginano. Per questo ci cascano. Ma tu che lo sai, spesso, quando capisci come va il mondo, passi la metà dell’esistenza che ti avanza a «rammaricarti» quasi di non essere nata capace di «usarti» meglio. Tu per prima. Per poi riuscire a «usare» gli altri, come fanno «loro». A «rammaricarti» dell’assenza di quel corredo genetico e morale che serve ad alcune ad essere «certe» donne. Quelle che usano le lacrime (o le confessioni e i pentimenti postumi), come si usa sempre il pianto: e cioè per iniziare a ingannare qualcuno.
Il vero dolore, il vero conflitto, sono secchi e muti. Le «altre» lo sanno. Per questo è inaccettabile il fatto che, quando in uno scandalo di qualsiasi tipo ci sono di mezzo delle donne, il mondo si aspetti la solidarietà cieca di tutte le donne. Ci sono abissi a dividerle, le une e le altre. Quelle che un uomo lo fanno valere il doppio e quelle capaci di renderlo ridicolo come uno con i capelli tagliati di fresco, come un diciottenne spaesato appena bocciato alla maturità. Chiassose come federe color malva, come qualcuno che in casa urla sempre, eppure leggiadre al punto giusto per potersi insinuare, per poter creare fitte reti di complicità, e per poi pronunciare parole che sembra di poter seguire con lo sguardo, come un sasso scagliato nella stanza dalla finestra.
Della ricchezza, la letteratura parla come di una specie di complotto. Nella realtà il denaro è circondato da molta più tensione di quanto non siamo disposti ad ammettere. Bisogna sempre fare i conti con il clima in cui si vive. La povertà, e la voglia di evaderne, condiziona in maniera incredibile il nostro metro di giudizio circa le complicazioni etiche e affettive. Purtroppo è un fatto. Ma ciò a cui è disposto ognuno per sfuggirne, è una questione tremendamente personale, non un vampirismo degli altri. Trasformare in vittima chi il conto se l’è già fatto, negare la possibilità di scelta, anche quando in realtà una scelta c’è stata, non è meno irriguardoso che mettere tutte le donne sullo stesso piano. Loro e quelle che hanno scelto altro. La Gelmini che affronta «Porta a porta» per difendere il premier definendolo «un oggetto di persecuzione», la Santanchè che lo sdogana assicurando di conoscerne perfino la fidanzata, la Moratti che, a sorpresa, si è unita al coro con forza per esprimergli il suo sostegno («c’è una campagna diffamatoria contro il premier nei confronti della quale esprimo il mio disappunto»), la Brambilla che, come un lagunare, partecipa ai «gabinetti di guerra» col Cavaliere fino a notte inoltrata e parla di «autogol del Partito delle Procure», la Carfagna che, alla faccia delle Pari opportunità, «crede a Silvio».
Tutte le signore del presidente, si dirà. Macchè. È una faccenda molto più complessa, questa.
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