Marco Lombardo
Una sedia. Magari non ci crederete, ma certe ricette nascono da una sedia. Ricette da chef s'intende: «Perché la sedia è comodità, è voglia di accogliere, è mettere a loro agio le persone». Per questo Davide Oldani le sedie se l'è disegnate da solo, come d'altronde posate, bicchieri e tutto quanto fa il suo D'O. Anche il nuovo D'O, il ristorante che ha aperto dall'altra parte della piazza di Cornaredo dove il vecchio è diventato una leggenda della cucina d'autore, con i suoi mesi d'attesa per gustare il menù di stagione. E con la sua cipolla caramellata come simbolo della cucina Pop, intesa come qualità per tutti: «Finalmente apriamo dopo tutti questi mesi di lavoro. Il vecchio ristorante? Nessun rimpianto, anzi: non ci si poteva più stare. Bisogna guardare avanti».
È l'ora di sedersi e di raccontare, dunque. Di farsi accogliere su quella sedia che Davide ha pensato per il massimo relax: un portaborse sotto, una vaschetta per chiavi e cellulare magari da dimenticare lì per un po', un design che sembra quello di una piccola poltrona. Ci si siede con intorno il D'O, e soprattutto con l'idea che i ristoranti non sono più, non devono essere, quelli di una volta: «La mia idea è che per gustare al meglio il cibo bisogna sentirsi come a casa. Per questo la prima cosa che le persone che verranno da me troveranno è un piccolo tinello. Dove cominciare a conoscere il menù che andranno a scegliere nell'attesa di andare a tavola. È qui che comincia un pasto come lo intendo io». Intorno intanto, al D'O la vita scorre. Il personale organizza la giornata alla perfezione e sembra quasi che Oldani non debba occuparsi di nulla: «Non è vero, ma hai ragione. Questi non sono i miei dipendenti, sono io che sono dipendente loro. Senza i miei collaboratori, non sarei nulla. E per questo nella nostra nuova casa hanno uno spazio tutto per loro».
Raccontaci il nuovo D'O allora.
«Prende finalmente corpo l'idea che avevo da tempo, che mi immaginavo come il luogo perfetto per esprimere la mia filosofia. E allora c'è il tinello, appunto, e anche il salotto, la libreria, la veranda, lo studio. Poi naturalmente la sala dove si mangia, la cantina e la cucina a vista, perché la cucina ormai deve essere trasparenza».
Ogni cosa al proprio posto.
«Ogni cosa studiata per esaltare questo mestiere fantastico. Ho finalmente anche un angolo per la sperimentazione e lo studio, e anche il posto giusto per fare le riprese televisive. Nulla è stato lasciato al caso, ho dovuto anche far installare una nuova cabina elettrica che serve anche i quartieri vicini: ho una cucina completamente tecnologica, grazie a Samsung di cui sono testimonial e che mi ha fornito gli strumenti più avanzati».
Un progetto importante.
«Il progetto della mia vita. Era il momento giusto. Ho trovato nuove energie da quando è nata mia figlia Camilla che ora ha un anno e mezzo: diventare padre ti fa cambiare, forse anche perché sono un papà non troppo giovane. E ho capito una cosa: il futuro dei bambini dipende tutto da noi genitori».
Facciamo così: spiega a Camilla, e anche a noi, il significato del tuo lavoro.
«Innanzitutto dico che questo non è un lavoro: è una passione. Senza passione non ci si alza neppure dal letto la mattina. E la mia passione è diventata una missione».
Quale?
«Beh, bisogna tornare alle origini con i progressi che abbiamo fatto. Nel cibo non si inventa nulla, gli ingredienti sono sempre quelli: carne, pesce, frutta, verdura. Quello che cambia sono gli abbinamenti, e la filosofia. Insomma: bisogna mangiare meno ma mangiare meglio».
E mangiare quello che la stagione ci dà.
«Assolutamente. Noi siamo degli artigiani che devono lavorare con quello che Dio ci ha donato. Per questo dobbiamo rispettare gli alimenti. E rispettare il loro ciclo naturale. Poi dobbiamo metterci del nostro: la scelta delle materie prime, la qualità della filiera, selezionare secondo il principio della tracciabilità per far vedere quello che si mangia».
Camilla che dice?
«Camilla mangia felice, e cresce. Anche perché non mi permetterei mai di dare consigli a mia moglie: innanzitutto perché dietro a un grande cuoco c'è una grande donna, e poi perché sull'alimentazione dei bambini le mamme hanno la primogenitura. L'unica cosa che le ho chiesto è di non usare il pomodoro d'inverno. Meglio la zucca».
Quindi al D'O come a casa e viceversa.
«Te l'ho detto: la regola è questa. Qualità e convivialità. Per questo ci tengo a far capire prima agli ospiti quello che poi mangeranno, è una questione di onestà e chiarezza. E di più: cuciniamo davanti a loro un paio di piatti a serata. Ho disegnato anche dei nuovi carrelli che servono a spostarsi tra i tavoli: quello del piatto del giorno, quello delle erbe...».
Diciamolo: quasi non sembra un ristorante.
«Dipende: ristorante è una parola che viene dal francese, nata quando i cuochi lasciavano le case per mettersi in proprio. Il passato ritorna: non è meglio ma può essere rivisitato. Io cerco di farlo secondo la mia filosofia».
Quella Pop. Ma che vuol dire in effetti?
«Ti faccio un esempio: ti ho detto che io sono dipendente dai miei dipendenti. Tutto parte da qui: questo non è un locale del padrone, è un posto dove tutti noi, io compreso, dobbiamo metterci al servizio del nostro talento. E intendo quello della parabola del Vangelo di Matteo».
Sembri un capo molto accomodante.
«Sono esigente, molto. Ma lo sono molto con me stesso: io do di più di quanto chiedo».
Un esempio.
«Marchesi diceva che l'esempio è la prima forma di insegnamento».
Cosa potresti insegnare allora a noi umani cuochi della domenica?
«La prima regola è fare la spesa a stomaco pieno: si evita di comprare cose inutili. La seconda è di stare attenti a noi stessi e quindi scegliere sempre la qualità: si trova ormai anche nella grande distribuzione, non c'è bisogno di andare a cercarla chissà dove».
Parlando di qualità: il bio secondo Oldani
«Nei due terzi dei casi è solo moda. Tutto quello che si vende è davvero bio? E chi me lo garantisce? Ho delle riserve...».
...gli Ogm...
«Ah, qui voglio essere chiaro: vedo in giro troppa ideologia. Certo: bisogna controllare che tutto venga fatto a tutela della nostra salute. Ma mi chiedo: forse ora non viviamo meglio e più a lungo? Non abbiamo forse modificato e migliorato ciò che noi mangiamo? Non è questione di Ogm allora: è questione di alimentarci meglio con le materie giuste. E se modificate sono ancora più giuste, meglio ancora. Il vero problema è un altro: mangiamo 4 volte più di quello che dovremmo».
...i vegani...
«Ascolta questa: in tv ho sentito dire che chi è vegano ha i figli più alti di 5 centimetri. Ma ti sembra una roba seria? La verità è che ognuno ha il diritto di pensarla come vuole, basta che non mi venga a raccontare frottole come questa. Io rispetto i vegani, tanto che ci sono giorni in cui lo sono anch'io».
In che senso?
«Che ho la mia dieta. Si deve mangiare tutto, in momenti differenti e nella giusta quantità. Io un giorno alla settimana digiuno: solo acqua e verdura cruda. È un po' come si faceva una volta, ma per ragioni economiche. Adesso invece è questione di armonia: è quella a far vivere bene le persone».
Il tuo concetto di armonia, dici, è ospitalità con il sorriso. Eppure guardando gli chef in tv sembrano tutti arrabbiati
«Ma quello è spettacolo, giusto che sia così. Soprattutto se porta la gente ad appassionarsi alla cucina».
Non credo però che ti vedremo mai a Masterchef.
«Diciamo che in tv i cuochi si dividono in due categorie: gli showman e gli chef. Riguardo a programmi come Masterchef e Hell's Kitchen sono bravi già i miei colleghi».
Dacci i nomi di futuri Masterchef. In cucina e non in tv, s'intende.
«Posso dirti Diego Ferrari che ora è chef a Le Gavroche a Londra. E Alessandro Procopio e Vladimiro Nava, che sono adesso gli chef del D'O. Faranno il botto...».
E a proposito del D'O, il nuovo: una chicca?
«La nuova entrata: l'ho tenuta segreta per lungo tempo. Si chiama Battuta d'inizio».
Raccontala
«Raccontarla? Bisogna mangiarla. È come giocare a Wimbledon...».
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