Tirrenia, privatizzazione a rischio Dei 16 interessati ne restano tre

Si diradano i potenziali compratori e si affollano dubbi e difficoltà per la privatizzazione della Tirrenia. L’ultima scrematura di contendenti, datata 1º giugno, ne vede ormai solo tre in gara: il fondo inglese di private equity Cinven, il fondo italiano per le infrastrutture F2i, guidato da Vito Gamberale e la cordata che fa capo alla Regione Sicilia e all’armatore Salvatore Lauro. L’elenco non è ufficiale, perchè il venditore Fintecna, azionista al 100% di Tirrenia, non dice nulla: cercare un contatto con i suoi uffici significa sbattere contro un muro che chiamare di gomma è un educato eufemismo. Fintecna è al 100% del Tesoro, quindi si tratta di beni e denari pubblici.
Il silenzio di Fintecna «è da stigmatizzare e non può essere spiegato con motivazioni legate alla riservatezza» ha dichiarato con seria preoccupazione, nei giorni scorsi, il segretario generale della Uil Trasporti, Giuseppe Caronia. Tutti i sindacati, allarmati per l’evolversi di una vicenda sul cui esito non vi è alcuna certezza, martedì scenderanno in sciopero: in gioco c’è il futuro dei 2.200 dipendenti del gruppo Tirrenia (Siremar compresa) sul cui futuro pesa la drammatica incognita della liquidazione. Quest’ultima, l’extrema ratio, è un’ipotesi realistica. Le 16 manifestazioni d’interesse iniziali si sono già ridotte a tre, delle quali il 28 giugno, termine per le offerte vincolanti, si potrà verificare la reale volontà di procedere. Entro il 30 settembre i giochi devono essere conclusi: da Bruxelles il termine è tassativo.
Le incertezze nascono dalla natura dei beni in vendita. Tirrenia, innanzitutto, viene venduta insieme a Siremar (traghetti regionali siciliani) che controlla al 100%. Prima del bando di privatizzazione Tirrenia controllava anche Caremar (Campania), Toremar (Toscana), Saremar (Sardegna), che sono state trasferite a titolo gratuito alle rispettive regioni: la Sicilia ha rifiutato (gratis) Siremar, ma ora è in lizza per acquistare Tirrenia e Siremar insieme. Comportamento che non è stato chiarito nonostante alcune interpellanze al Consiglio regionale. Il gruppo ha una flotta formata da 25 navi Tirrenia e 19 Siremar di diversa qualità, valutate ragionevolmente intorno ai 700 milioni. Ma è gravato da circa 600 milioni di debiti, per il 70% a breve e per il 30% a lungo termine: elemento, questo, che richiede un compratore con spalle finanziarie molto larghe. Il marchio è deteriorato: negli ultimi anni oltre 500mila passeggeri (il picco, nel 2007, è stato di 2,7 milioni) sarebbero stati persi a causa della crisi, ma soprattutto della scarsa attenzione al servizio e alle politiche commerciali. La struttura dei costi è antieconomica, frutto di un modello aziendale che ha sempre visto lo Stato ripianare a piè di lista le perdite, in virtù del servizio pubblico attribuito alla compagnia.
Formalmente, il risultato è in utile: nel 2009, i 231 milioni di fatturato della sola Tirrenia hanno prodotto un utile netto di 8,8 milioni; tuttavia, nell’esercizio le sovvenzioni pubbliche sono state pari a 80 milioni, così che il risultato reale è una perdita di 71,2; discorso analogo per Siremar: 20,7 i ricavi 2009, utile netto 1,4, ma sovvenzioni per 67 milioni: la perdita è stata dunque di 46,3 milioni. Lo Stato si è già impegnato a versare fino al 2018 compreso un contributo di 73 milioni all’anno a Tirrenia e di 55 milioni a Siremar. La vera «polpa» è questa.


Ma, nonostante ciò, le valutazioni che si rincorrono a mezza voce negli ambienti della gara sono modeste: da zero a 100 milioni per alcuni, un’ulteriore dote economica, per altri. In altre parole: pagateci per acquistarla.

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