Marcello Di Dio
nostro inviato a Genova
Strana, questa Roma: titubante in Europa, bellissima in Italia. E anche capace di metamorfosi improvvise nel giro di pochi giorni. «Ripartiamo» era il messaggio di Luciano Spalletti alla vigilia, dopo aver recitato il mea culpa per la pessima serata di Donetsk. Il condottiero toscano ne era convinto: a ogni delusione del campo giunge poi puntuale il riscatto romanista, che spesso e volentieri ha come ingredienti lo spettacolo e i gol.
Ed è stato così anche a Genova, terra che lui lasciò con il rammarico di una retrocessione, dopo essere stato cacciato e poi richiamato in corsa a salvare il salvabile. Alla sua Roma, che mostra da almeno un anno il calcio più bello nel nostro Paese, bisogna dare un merito aggiunto: il suo gioco rappresenta il miglior spot per fermare lemorragia dal calcio visto dal vivo. Se poi nella giornata spettacolare di Marassi si aggiunge la perla del gol di Totti (che fa spellare le mani al fine e sportivo pubblico sampdoriano), aver speso i soldi del biglietto diventa per una volta motivo di vanto.
Quella di Genova è una grandissima Roma, quasi un orologio svizzero che si concede rarissime pause: meccanismi perfezionati tra i reparti, squadra corta per favorire le qualità dei singoli negli spazi stretti, gioco collettivo di enorme intensità, scambi e intese in velocità, costante possesso del campo e della palla.
Di fronte a una squadra giallorossa così e a una rete stellare di Francesco Totti, che a molti ha ricordato la prodezza di Van Basten nella finale Olanda-Urss degli Europei 88, può poco anche una Samp dallottimo ruolino casalingo (quattro vittorie e un pari nelle ultime uscite al Ferraris), ma decisamente a terra nel gioco e nelle idee. Novellino si prende tutte le responsabilità di una sconfitta che non è mai sembrata evitabile nel corso dei novanta minuti. I Fedelissimi, gruppo storico della Curva blucerchiata che oggi festeggeranno 45 anni, contestano, sostengono la squadra e poi ottengono un confronto dopo la partita per chiedere spiegazioni sul periodo buio.
In tribuna ci sono il ct azzurro Donadoni venuto ad ammirare il Panucci evergreen di questi tempi - e Al Saadi Gheddafi, in affari con la famiglia Garrone al quale ha strappato una mezza promessa di giocare con la Sampdoria (domani sarà a Bogliasco per iniziare uno stage con il gruppo di Novellino). Si divertiranno molto, così come gli altri ventiduemila presenti. Lo show giallorosso inizia subito con unazione tutta made in Roma: lancio del monumentale De Rossi, Totti brucia Berti, già compagno di tante partite di ping-pong dieci anni fa a Trigoria.
Il rinvio corto di Mexes e la cannonata di Volpi (leggermente deviata da De Rossi) rimette in partita la Samp dopo nemmeno un minuto. Ma è la sola pallina accesa nello spoglio albero di Natale sampdoriano (anonima la 100ª in A di Bazzani), che fa da contorno alle note della sinfonia Roma, tornata a un modulo 4-2-3-1 più congeniale al suo gioco. Perrotta raddoppia, Panucci triplica (entrambi erano già andati in gol domenica nellabbuffata allOlimpico con il Catania) e la Samp è incapace di reagire. Si fa male Quagliarella problemi allinguine -, si rivede Flachi dopo la squalifica di due mesi. Il suo bilancio, e non gli si può chiedere di più, è un rigore conquistato e poi trasformato. Non prima però della magia di Totti che, servito da Cassetti, indirizza un esterno sinistro nellangolino opposto alla porta di Berti.
Un Totti così farebbe comodo anche alla nazionale, ma largomento per lui è tabù: «Ora penso solo alla Roma». Che se lo tiene stretto, così come il resto del gruppo che sogna quel triangolino tricolore.
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