Parli della Sardegna e immediatamente ti viene in mente uno dei suoi prodotti di eccellenza: il pecorino, formaggio famoso in tutto il mondo. Che però è solo un esempio, fra tantissimi prodotti caseari che fanno dell'isola un presidio del mangiar bene. Non può stupire, quindi, come uno dei comparti agricoli più importanti sia proprio quello della pastorizia. Questo settore è talmente determinante per l'economia locale da aver indotto le istituzioni a creare un assessorato regionale che non sia solo «dell'agricoltura» ma sia anche «della riforma agropastorale», proprio con l'obiettivo di tutelare al meglio aziende e piccoli imprenditori del settore. Perché in Sardegna la pastorizia è una tradizione secolare, un mestiere duro che però è strettamente legato alla passione, allo spirito di sacrificio e all'amore per la campagna.
La pastorizia è anche, e soprattutto, cultura. E non potrebbe essere altrimenti in un territorio nel quale secoli di allevamento hanno lasciato un segno indelebile, oltre che nelle braccia della popolazione da sempre abituata a muoversi, anche nella mente del popolo sardo. È per questa e molte altre ragioni che la pastorizia da queste parti ha una valenza che va oltre il dato puramente economico. Che però non può di certo essere sottovalutato, per questo negli ultimi decenni si è cercato di unire e far procedere di pari passo la sempre viva passione per questa attività con il cambiamento dei tempi, con le dinamiche proprie di un mercato che tende a perdere il ricordo delle tradizioni a favore della globalizzazione e della commercializzazione sfrenata. Per far convivere tradizione e modernità sono cambiati i metodi di commercializzazione dei prodotti dell'allevamento ovi-caprino - per esempio gli alimenti derivati della trasformazione del latte o delle carni d'agnello - mentre i metodi di allevamento sono rimasti gli stessi di secoli fa. Qui l'allevamento intensivo è bandito: le pecore continuano a pascolare sui prati e lo faranno ancora in futuro. Di pari passo sono, però, aumentati i controlli sulla qualità del latte e delle carni, grazie ai consorzi di tutela che garantiscono sia la provenienza che la qualità degli alimenti prodotti in Sardegna. Rigorosi disciplinari che bisogna rispettare perché si possa avere la possibilità di certificare come sardi e genuini i beni che finiscono sui banchi dei mercati di tutto il mondo.
Basta guardare ai numeri per capire l'importanza del settore per tutta l'economia dell'isola. In Europa si producono circa 213 milioni di tonnellate di latte all'anno. Il 97 per cento è vaccino. Poco meno del 3 per cento è di capra o di pecora, con una leggera prevalenza di quest'ultimo. I maggiori produttori di latte ovino in Europa sono Grecia, Italia e Spagna (fonte Eurostat 2010). Oltre il 15 per cento del latte ovino raccolto in Europa dalle industrie di trasformazione viene proprio dalla Sardegna. Nel resto d'Italia si produce l'8 per cento del totale europeo. Questo significa che la Sardegna, da sola, produce quasi il doppio del latte ovino italiano. In totale nel 2010 il latte raccolto dall'industria casearia in Italia (compresa la Sardegna) è stato circa 430mila tonnellate, 285mila sono state proprio made in Sardegna. La seconda regione produttrice in Italia è la Toscana con poco più di 68mila tonnellate (fonte Istat). In pratica, la Sardegna produce il 66 per cento del latte ovino italiano, il 3 per cento di quello presente in tutto il mondo (dato riferito al 2009). Per fare un raffronto la Cina, maggiore produttore al mondo, ne ha messo in commercio poco più del 12 per cento. Ma il Paese asiatico conta un miliardo e 300mila abitanti e un'estensione territoriale di 9 milioni e mezzo di kmq. La Sardegna ha, invece, poco più di un milione e 600mila abitanti e un territorio di 9mila kmq.
Gli sforzi della regione cominciano finalmente a essere ricompensati. Perché dopo anni di sofferenza, con prezzi al litro che non riuscivano a compensare i pastori delle spese, negli ultimi mesi si registra un'inversione di tendenza. Dai 60 centesimi di non molto tempo fa, ora si registrano contratti che sfiorano gli 80 centesimi per litro. Grazie anche alle nuove politiche regionali che hanno incentivato la diversificazione della produzione, premiando soprattutto chi non trasformava il latte in pecorino romano, formaggio verso il quale è destinata la maggior parte del latte conferito alle industrie casearie. Questo ha consentito di ridurre le giacenze di questo formaggio (a dispetto del nome, il 90% di pecorino romano viene prodotto in Sardegna, il resto fra Lazio e Toscana) e di conseguenza di fare aumentare il prezzo dello stesso, trascinando con sé quello del latte. Ma la Regione Sardegna non si è fermata. L'assessore all'Agricoltura Cherchi, dopo aver provato a riunire al tavolo delle trattative pastori e industriali del latte per trovare un accordo sul prezzo, e constatata la distanza fra le parti, ha deciso di fare di testa sua. D'accordo con le principali organizzazioni di categoria - Coldiretti, Copagri, Confagricoltura e Cia - ha proposto la creazione di una vera e propria supercoop a partecipazione regionale che curerà i rapporti dei produttori con gli industriali (anche all'estero) con l'obiettivo di spuntare il prezzo migliore.
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