Traffico di esseri umani: la base era Roma

Alessia Marani

Era a Roma la cellula organizzativa di una maxi-tratta di esseri umani dal Medio Oriente al Vecchio Continente via mare: almeno cinquemila immigrati clandestini fatti sbarcare nei porti di Ancona, Brindisi, Bari e Venezia, in tre anni di attività. Trasportati su «carrette» infernali o stipati come bestie sui tir alle dogane, ognuno con un sogno per la testa e dai 7000 ai 15mila euro appena sborsati per il passaggio dal «Caronte» di turno. Chi ne gestiva viaggio, le modalità e ne stabiliva il prezzo complessivo era Abu Ali Ako, detto «Arsalan», un curdo-iracheno approdato nello Stivale con in tasca nientemeno che un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Dal suo call center di largo Brancaccio teneva le fila di un traffico milionario, secondo per introiti stando ai conti della Direzione Nazionale Antimafia, solamente a quello degli stupefacenti. «Non abbiamo accertato collegamenti con reti fondamentaliste o, comunque, legate al terrorismo di Al Qaida - ha detto ieri il Procuratore Antimafia Pietro Grasso -, quel che è sicuro è che l’immensa mole di denaro veniva “polverizzata” attraverso una miriade di trasferimenti, grazie a un fitto intreccio di “money center” a loro volta in possesso di affiliati all’organizzazione. Per quel che riguarda il modus operandi, è quello che si rifà ai codici mafiosi tradizionali: omertà, gerarchia piramidale e capacità d’intimidazione sia verso i propri accoliti, che verso le vittime e i loro parenti».
Sono 90 le ordinanze di custodia cautelare emesse nell’operazione battezzata «Tazir», dall’arabo «immigrazione», ed eseguite in questi giorni tra l’Italia, la Francia e l’Inghilterra, con l’aiuto di Sco, Interpol ed Europol. Cinquantaquattro quelle emesse nei confini nazionali. Arsalan è stato prelevato dagli uomini della squadra mobile romana tre giorni fa nella sua abitazione al Colle Oppio. In manette con lui sono finiti altri 14 iracheni del Kurdistan stabiliti nella Città Eterna e tutti d’età compresa tra i 18 e i 43 anni. Secondo le indagini incrociate delle Procure di Trento e Brindisi sotto il coordinamento della Dna, alla cellula capitolina si è arrivati indagando sui tragici viaggi del luglio del 2002 verso Brindisi e del gennaio 2003 in direzione del Salento in cui perirono 45 persone. Le prime due, curdi-iracheni, uno di appena 19 anni, vennero trovate soffocate in un doppiofondo alto appena 50 centimetri di un tir che importava cocomeri dalla Grecia. Due anni dopo, invece, nel naufragio del «Sakis», a 20 miglia da Santa Maria di Leuca, morirono annegati 20 clandestini e altri 23 furono dati per dispersi. Già nel 2001 la polizia con l’operazione «Abu Ziro I», catturò a Roma 22 soggetti di nazionalità curdo-irachena ritenuti responsabili del delitto di associazione di tipo mafioso finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Altri otto arresti furono effettuati con l’operazione «Abu Ziro II» poco tempo dopo dagli investigatori romani sempre per gli stessi reati.

«Dopo un breve periodo di stasi dovuta ai nostri arresti - spiega il capo della Mobile capitolina Alberto Intini - il gruppo si è riorganizzato e Ako, che prima era una semplice “passeur”, ossia accompagnava a Roma gli immigrati giunti a bordo di carrette del mare in Calabria e Puglia, ne è diventato il boss indiscusso». I clandestini, poi, attraverso Ventimiglia raggiungevano la Francia e da qui gli altri paesi europei e, passando per Calais, l’Inghilterra. A garantire per loro la quota viaggio erano i connazionali già emigrati.

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