Cultura e Spettacoli

Una tragedia sfociata nello scempio

Non ci si aspetta davvero che un dramma teatrale intitolato Piazzale Loreto inizi con una radiocronaca che annuncia il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, a Roma, il 9 maggio 1978. Ma autore e regista dell’atto unico - che andrà in scena per la prima volta al Festival di Benevento, domani - è Pasquale Squitieri, iconoclasta sia come narratore di storie sia come lettore della storia.
I personaggi sono due, interpretati da Ottavia Fusco e Marino Masè. Lei è Edda Ciano Mussolini, vista quanto mai realisticamente sul finire della propria vita: una vita fatta di gioie e glorie, sciagure e tragedie che sembrano prese dall’antico teatro greco e che invece ci sono vicinissime. Lui, Fosco, è un personaggio di fantasia, però rappresenta bene i giovani che avevano creduto nel fascismo fino a seguire il duce nella Repubblica sociale italiana, a cercare - nel suo caso invano - la «bella morte». Solo alla fine rivelerà a Edda, morente, il proprio terribile segreto.
Insieme ripercorrono la vicenda del fascismo, dalla nascita alla fine, rivedendo spezzoni di filmati Luce e ascoltando brani di discorsi di Mussolini, dalla conquista dell’Impero alla dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna. Si citano l’un con l’altro giudizi ben più che lusinghieri, sul duce e il suo regime, di intellettuali e politici, italiani e internazionali; passano in rassegna le leggi razziali e l’entrata nella seconda guerra mondiale, che avrebbe portato al crollo dell’Italia e a fare degli italiani - così si legge nella filigrana del racconto - un popolo di fascisti senza fascismo.
Edda, nella vita reale, era ricoverata in una clinica svizzera per malattie mentali quando seppe all’improvviso, dalla radio, che quattordici mesi dopo la fucilazione del marito anche suo padre era stato fucilato: e che il suo corpo, portato a Milano in piazzale Loreto, fu sottoposto a ogni scempio e violenza prima di essere appeso per i piedi a un distributore di benzina, insieme a quelli di Claretta Petacci e di alcuni gerarchi fascisti. Sulla scena Edda risente continuamente quella radiocronaca, nei dettagli più orribili. In uno sdoppiamento tra finzione e realtà - dove la finzione ricalca tutto quello che avvenne davvero - ogni tanto manda Fosco ad affacciarsi a un balcone che dà direttamente su piazzale Loreto, in quella fine di aprile del 1945: «Molti infieriscono sul corpo del duce. Lo colpiscono sulla faccia a calci, gli sputano... c'è una donna, una donna che si è piegata a gambe larghe e... orina, orina sulla faccia del duce, e ride e tutti ridono... ».
È la stessa folla, lo stesso popolo che aveva visto in Robespierre l’Incorruttibile, il profeta dell’Essere supremo, la stessa folla e lo stesso popolo che poi danzò la farandola intorno alla ghigliottina che lo stava decapitando. Edda, che disprezza la storia degli storici ma capisce molto bene quella del sangue, prega Fosco di non aprire più quel balcone: «Quell’odio non si spegne, continua a covare sotto le ceneri, ogni giorno, da quel giorno, qualcuno, travestito da esorcista, prova a riattizzarlo quell’odio per poter decidere ancora di vite e destini». Ora conosce e ammette anche le colpe di suo padre, però ha anche capito che «Quel suo corpo macellato penzola ancora su tutti noi... non lo seppelliranno mai... Tutti dovremmo chiederlo, il perdono. Vincitori e vinti dovrebbero scambiarsi una "grande confessione". Da tutte le parti sono stati commessi delitti. Se non ci sarà perdono, si rinnoveranno... ».
Mentre il sipario si chiude, la radio legge un comunicato delle Brigate rosse: «Oggi, 19 marzo 2002, a Bologna, un nucleo armato della nostra organizzazione, ha giustiziato Marco Biagi... ». L’ideologia ha vinto ancora.
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